Out of the norm
Esistono comedian particolari, che godono di una stima unanime da parte dei colleghi e delle colleghe e che si sono ritagliat* un posto speciale nella comicità. Col suo sano menefreghismo per le regole, anche quelle dello showbusinnes, un’incontenibile gioia per quello che faceva e una scrittura sopraffina, Norm Macdonald è stato tanto il “comico dei comici” quanto uno dei più popolari comedian americani. A questo performer unico nel suo genere è dedicata la nuova puntata di Tendenza Groucho.
Uno dei suoi primi special recuperabili online è la mezz’ora per One Night Stand, un programma della HBO, anno 1991: le prime battute, tanto per dar subito l’idea del personaggio, sono sul mordersi la lingua. Da lì in poi è un susseguirsi di quelle che alla fine sono una serie di one line, molto peculiari, unite da transizioni formali che non fanno nulla per nascondere il loro ruolo esclusivamente connettivo. Macdonald ha un’identità chiara che si potrebbe definire observational comedy assurda: le premesse sono quelle dei e delle comic* osservazionali, con annotazioni sulle piccole e grandi cose che capitano a tutt* (il costo degli anelli di fidanzamento, la scelta di un cane, i programmi TV), ma nelle mani di Macdonald diventano spunti per arrivare in territori paradossali. Norm introduce l’assurdo non tanto inserendo elementi alieni al contesto, ma forzando il contesto, le sue regole, la grammatica delle frasi. Le punchline, poi, spesso non si basano sulla misdirection nel senso classico: non spostano il tema altrove, ma lo continuano in maniera coerente e allo stesso tempo folle.
Pur rimanendo fisso dietro l’asta del microfono, la delivery di Macdonald è in qualche modo movimentata: sarà per la sua faccia incredibile, per il suo tono sempre laterale rispetto a quanto sta dicendo (scomoderei Brecht e lo straniamento a questo punto, se mi promettete di non bullizzarmi).
Ridiculous, un album di sketch del 2006, permette di approfondire lo stile di Macdonald (qui affiancato da altr* comedian). I vari brani non sono costruiti su battute ma su un’idea che viene esplorata o reiterata scovandone i punti di vista o le conseguenze più assurde: la nascita dei nomi dei Fantastici Quattro, la parodia di un cantante country, un collega di Clark Kent che si spaccia per Superman volendo far colpo su Lois Lane. Il dialogo tra i primi due gay della storia, come è facile intuire, è l’episodio più problematico: l’innocente stupidità di Norm regge bene fino alla fine, ma gli ultimi secondi purtroppo scadono in un umorismo che se non è omofobo è perlomeno fortemente stereotipato e decisamente datato.
In generale, la scrittura di questi sketch asseconda una delle caratteristiche della comicità di Macdonald, riscontrabile anche nei suoi show e nelle interviste agli ospiti dei suoi talk (tra i quali Norm Macdonald has a show, su Netflix), ovvero il fingere assoluta serietà: di fronte a frasi fatte e retoriche varie Norm pretende di prenderle per buone, le cavalca esagerandole, mettendo così in mostra la loro vacuità; in altri casi, fa la parte di chi non ha capito cosa sta succedendo, avviando conversazioni e idee basate sul senso letterale delle frasi o su fraintendimenti, portando stolidamente avanti quelle incomprensioni.
L’hidden track di Ridiculous è un pezzo di stand-up, nel quale si presenta un altro schema tipico di questo comico: la reiterazione di uno stesso concetto finché anche quella ripetizione diventa divertente.
In Me doing stand-up (2011) Macdonald ha raggiunto un livello incredibile, applicando il suo stile ad argomenti più pregnanti. I primi dieci minuti sono uno dei pezzi comici più belli sulla morte, capace di raccontare la tragicità del tema in una maniera esilarante. Non c’è pesantezza, nello stralunato Macdonald che, come un bambino, dice che bisognerebbe proprio risolverla, questa questione che si muore. E in pochi minuti riesce anche a distruggere la retorica della “battaglia contro il cancro” con argomentazioni tanto cristalline quanto divertenti. L’assurdo è sempre la cifra del comedian, che paradossalmente gli permette di affrontare in maniera diretta dei temi che potrebbero risultare difficili per il pubblico, il quale invece li attraversa ridendo pur guardandoli sempre in faccia.
La parte sull’alcolismo forse è meno riuscita da questo punto di vista, perché l’equilibrio pende troppo verso l’assurdo (in questo caso, il personaggio di Macdonald sembra non capire in cosa consista davvero la malattia e perché si chiamano “alcolisti anonimi” se poi raccontano tutto quello che fanno a un sacco di gente), ma le uscite comiche che inventa rimangono sempre efficacissime.
L’approccio “ingenuo”, inteso come parvenza di assenza di profondità e di consapevolezza, sociale o personale, funziona anche in altri modi: quando sostiene convintamente che “Sex is a filthy, shameful thing” e spiega il perché, Macdonald ci mostra una stranezza che diamo per scontata (il fatto che molte delle cose che associamo al sesso lo fanno sembrare una cosa in effetti vergognosa, da nascondere) e che invece forse cela qualcosa su cui pensare. Ma non sarà lui a farlo, non è quello che vuole, lui è già passato al prossimo bit.
Il pezzo finale conferma la problematicità dei pezzi di Macdonald sull’omosessualità: non c’è mancanza di rispetto, né la denigrazione percepibile in altri comedian; se sceglie di parlare di questo tema è perché lo considera, al pari degli altri argomenti portati in scena, bizzarro, incomprensibile, buffo. “Cosa c’è da essere fieri nel succhiare cazzi?” si chiede abbastanza letteralmente, tradendo il suo punto di vista di middle aged straight man. In questo caso, almeno per me, l’esibita naïveté non è centrata (lo stesso concetto viene espresso qui, in maniera più convincente). In altri passaggi, invece, come quello sui telefonini contenuto nello special successivo, il vecchio confuso di fronte al mondo moderno impersonato da Macdonald funziona alla grande.
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In Hitler’s dog, Gossip & Trickery (2017), infatti, ritroviamo lo stesso personaggio. Inizia con un classico pezzo observational (come sono cambiati i ristoranti nel corso del tempo), filtrato da uno sguardo folle e dalla maniera tutta sbagliata che ha Macdonald di recitare, un modo affettato, troppo carico, che però non risulta scostante ed anzi invoglia la risata.
L’aneddoto presidenziale che segue (il giovane George Washington che abbatte un ciliegio e lo ammette perché incapace di dire bugie) è esemplare di come il lavoro comico di Macdonald smonti la retorica: il suo punto di vista serve sempre a mostrare l’altra faccia della medaglia, che rivela quanto inconsistenti, stupide o senza senso siano le storie che ci raccontiamo, i valori che propaliamo. L’apice forse lo raggiunge quando parla di suicidio; se sente dire alle altre persone che non capiscono perché qualcun* si sia tolt* la vita, lui risponde “Davvero non lo capisci?”
La perplessità che espone riguardo alle metafore (che, a quanto dice, ha scoperto da poco frequentando “un grosso scrittore”) rafforza l’immagine di sempliciotto che vuole dare di sé.
Il suo acting, poi, non permette al pubblico di fraintendere la natura totalmente goliardica di quello che dice: è un caso interessante, perché in mezzo a tantissim* comedian che difendono le loro battute controverse sostenendo che stavano solo scherzando, Norm non ha bisogno di giustificare nulla a posteriori, dato che è chiarissimo quanto lui sia il primo a non prendersi sul serio e a non voler pontificare su nulla. Questa cristallinità deriva da una scrittura d’alta qualità, fatta di testi sapientemente pensati e di una presenza scenica coerente con i propri scopi. Se è esagerato parlare di oggettività (perché nell’ambito artistico è un concetto fragile), per me è la dimostrazione che ci sono criteri coi quali si possono distinguere gli intenti e le implicazioni delle le battute, dividendo ad esempio quelle che sostengono uno stereotipo da quelle che ci giocano.
Per parlare di Nothing special, l’ultimo lavoro di Macdonald, si deve parlare anche della sua morte, avvenuta il 14 settembre 2021 per una leucemia della quale soffriva da dieci anni. Quello che doveva essere uno spettacolo col pubblico dal vivo è stato ripensato proprio a causa delle condizioni di salute del comedian che (in concomitanza con le restrizioni dovute al Covid-19) gli hanno impedito di portarlo in scena. Macdonald ha dunque registrato lo show da solo nell’appartamento della producer Lori Jo Hoekstra il 28 giugno 2020, poco tempo prima di morire, in un solo take; a un certo punto si ferma perché si sente un cane abbaiare, e riprende da capo la battuta; poi gli suona il telefono, risponde e spiega: “Ti richiamo, sto facendo un special”.
Ora, chiunque abbia una minima esperienza performativa può capire cosa significhi fare un monologo comico per un’ora davanti allo schermo di un computer. Macdonald parla, e il suo tono è quello di sempre, ma le sue parole cadono nel vuoto. Lo stile spezzettato con cui racconta le cose non è per nulla aiutato dal silenzio che lo circonda, laddove nei live le sue stramberie generavano le risate del pubblico. A volte sembra forzare la voce, calcare la mano, ed è probabilmente un riflesso condizionato dall’assenza di spettatori e spettatrici che possano reagire a quello che dice. Se si aggiunge la consapevolezza della malattia del comedian (visibilmente dimagrito), questo special non può non lasciare un po’ di tristezza.
Concentrandosi esclusivamente sul contenuto, si nota un repertorio fatto come sempre di osservazioni varie: sul gioco d’azzardo, sul cannibalismo (Norm ci tiene a dire che è contrario), sugli aerei, sui tassisti e sul testamento biologico.
“You know, I’ll tell you one thing I don’t miss is airplanes. I don’t like airplanes. I finally figured out why. After years of therapy I figured out why I don’t care for the airplanes. I don’t like the crashing and dying in the airplane. That’s what it is. You know?”.
“Any dietician will tell you, I tell you, not that I’m a dietician. I don’t pretend to be a dietician. Well, sometimes I do, but… it’s only to get the ladies, you know? The big fat ladies. I go up, I go, “Hey, you want to go on a diet? On account of I’m a dietician.” And then they leave with me sometimes. Sometimes they just get angry, you know? I don’t know”.
Nella breve parte in cui ragiona sul fatto che le parole cambiano, Macdonald prende in giro gli spettatori, le loro aspettative, affronta il tema dell’identità di genere da una posizione conservatrice ma con la sua solita leggera irriverenza che, come hp detto, lo allontana dagli angry white men che spadroneggiano nella scena comica. D’altronde, la sua soluzione contro il razzismo è che per tutti i problemi del mondo i capri espiatori siano… le capre.
Ancora più esplicitamente che negli special precedenti, Macdonald si identifica come un uomo non colto (cosa che, a detta di chi lo conosceva, è falsa): sfotte l’assunto che i comici siano i filosofi moderni, accusa i medici di usare paroloni e rivendica la sua appartenenza a quel 10% di popolazione che ai sondaggi risponde “Non lo so”; allo stesso tempo, fa una satira tagliente contro il populismo che esalta il politico che “parla come mangia”.
Nonostante questa sua ritrosia nel prendersi sul serio, anche in Nothing special il comico inserisce riflessioni comiche esistenziali, come quella sulle persone con sindrome di Down, che corre sulla lama di un rasoio sottilissimo, e sta a voi decidere se riesce a rimanere in equilibrio.
Ma Macdonald rimane allergico alla retorica: il bit su sua madre è costruito proprio per illuderci che il senso del racconto sia toccante, salvo finire con una punchline triviale.
E’ difficile non leggere questo spettacolo con la lente di chi sa che Macdonald sarebbe morto di lì a poco. In molti passaggi si sfiora il tema della dipartita, senza mai però entrare nel personale, a conferma della riservatezza che tutti attribuiscono al comedian (il quale non aveva divulgato la notizia della sua malattia). Alla fine di Nothing special c’è una mezz’ora aggiuntiva, nella quale Dave Chappelle, David Letterman, Conan O'Brien, Adam Sandler, Molly Shannon e David Spade commentano la registrazione con commozione per l’amico scomparso; le loro parole aiutano a fare il punto. Macdonald faceva una comicità in apparenza caotica e improvvisata, ma in realtà di un’intelligenza rara e attentissima alla scelta delle parole. E’ stato un comico coraggioso, che non ha mai avuto paura di fare fiasco e che ha portato avanti sino alla fine il suo umorismo così diverso da ciò che lo circondava, senza preoccuparsi dell’incomprensione di spettatori e spettatrici. Ma a dispetto di questo suo stile non immediato e contrario alle attese della platea, Macdonald è stato uno dei comedian maggiormente capaci di generare empatia nel pubblico.
Vedendo le sue performance si capisce che si gettava nel rischio divertendosi. Ogni volta che diceva una battuta assurda, che chiudeva una storia in maniera inconcludente, che spingeva i limiti un po’ più in là, lasciando interdetto il pubblico (o i colleghi e le colleghe che stava intervistando), si può leggere nei suoi occhi una immensa gioia fanciullesca.
Segnalazioni
Lo abbiamo già detto, ma political correctness ISN'T killing comedy.
Non sono d’accordo, ma c’è chi giura che l’umorismo sia sempre di sinistra.
Su Arte potete guardare Charlie Chaplin e i Talebani, un documentario sul comico Karim Asir e sui suoi spettacoli in Afghanistan .
L’angolo autoreferenziale
Ho cominciato a portare in giro La sindrome del Campostori, il mio secondo one man show. La prossima data è venerdì 6 dicembre a Mansart (Zanica), un posto a cui tengo particolarmente. Qui sotto tutti i dettagli.
Dove vedermi live
Martedì 26 novembre faccio il mio one man show Nutro i miei dubbi a Labrutepoque di Milano, grazie a Greta Cappelletti.
Martedì 10 dicembre va in scena al Waag di Bolzano.
Giovedì 21 novembre mi esibisco per 20 minuti al Tambourine di Seregno nella serata organizzata da Comedyficio e presentata da Alessio Parenti.
Venerdì 29 novembre torno allo Zelig di Milano in qualità di guest del Collettivo Margaret (che ringrazio), qui trovate i biglietti.
Domenica 15 dicembre faccio un quarto d’ora al Maga Furla (sempre a Milano), ospitato da Foma Fomic.
Capitolo Roast Battle, la sfida tra comici al già citato Zelig di Milano powered by Schersito: il prossimo appuntamento è sabato 23 novembre, i biglietti si prendono qui. Quello successivo sarà sabato 7 dicembre.
Domenica 24 novembre presento il one man show di Gianluca Dalmonte (in apertura Francesca Belmonte) al Griller Hop di Monza.
E sempre al Griller Hop torna domenica 8 dicembre Tutto Sotto Controllo, il game comedy di improvvisazione con me, Davide Spadolà, Nando Prati e Patrizia Emma Scialpi.
Per quanto riguarda gli open mic, partecipo a quello de I Ragazzi dello Zoo di Bettino mercoledì 18 dicembre al Boom che, a sorpresa, sta a Milano.
Il video alla fine
Una notizia che forse vi è sfuggita:
Se mi cercate, sono in uno scantinato.