Timidi estroversi
Si afferma spesso che i/le comedian dicono quello che non si può dire. Che, con le loro battute, hanno licenza di portare in scena ciò che è proibito dalla società. Oggi vorrei riflettere su questa constatazione da un punto di vista laterale, affrontandola da un’angolatura particolare: non quella collettiva, ma quella individuale: il/la comic* dice quello che non può dire.
Sono pensieri che ho da qualche giorno; non è una teoria definitiva e non sono neanche sicuro al 100% che regga. Di certo non credo che quello che vado a esporre qui di seguito esaurisca completamente la natura dei e delle comedian. Però mi pare possa avere una qualche verità. Apro il dibattito, come si suol dire.
Se dovessi sintetizzare in una frase ciò che mi ronza in testa in questo periodo, la metterei giù più o meno così:
Molt* comedian, nella vita, sono persone con un Super-io esageratamente sviluppato e il palco è l’unico posto dove riescono a superare le sue censure.
Uso il termine Super-io, di matrice freudiana, anche se probabilmente i moderni psicanalisti avrebbero da ridire. Forse non si usa più, ma siccome tra le mie innumerevoli ambizioni non c’è quella di prendere un master in psicoterapia, mi permetto di semplificare un poco e intendo Super-io come “un insieme eterogeneo di modelli comportamentali, oltre che di divieti e comandi, e rappresenta un ipotetico ideale verso cui il soggetto tende con il suo comportamento” (grazie Wikipedia).
Quello che mi preme sottolineare è l’aspetto interiore di questa dinamica: generalmente si ragiona sul fatto che i/le comedian rompono i tabù istituiti dalla società, qui mi voglio invece concentrare sul fatto che a volte con le loro battute spezzano le proibizioni che loro stess* si impongono nella vita. So bene che il Super-io è comunque un prodotto sociale (derivato dall’educazione ricevuta dai genitori e in generale dalle norme previste dalla comunità), ma quello che voglio mettere in luce è che a volte, fuori dal palco, i/le comedian hanno rigidità eccessive, che travalicano le regole del vivere comune e che, più che a imposizioni esterne, corrispondono a un accentuato carattere censorio nei propri confronti. Appesantiti da un enorme senso morale, pensano che certe cose non si fanno, che certe cose non si dicono, vivono gli approcci agli/alle altr* (che per il resto delle persone sono pacifici) come un’invadenza da evitare. Come conseguenza, questo tipo di individui sono inibiti nelle normali relazioni sociali. Ciò tra l’altro è perfettamente in linea con l’impressione (anche questa piuttosto comune) che molt* artist*, fuori dalla scena, siano persone riservate, al punto da stupire l’interlocutore per la differenza abissale tra performance e camerino. Spero che, mettendola in questo modo, io riesca anche a far emergere gli aspetti problematici di questa indole: bisogna infatti stare molto attenti a non romanticizzare questa complessità e queste fragilità.
Ovviamente ogni caso è a sé e non voglio fare generalizzazioni, ma se mi guardo attorno e osservo i comici e le comiche che frequento mi sembra che non sia raro trovare la tipologia di persona che ho descritto. Io stesso, senza dubbio, mi riconosco in quelle caratteristiche. Una controprova sta nel fatto che una critica che spesso viene fatta ai e alle comedian è di essere “sempre in performance”, ovvero di non tracciare una linea di confine tra come sono sul palco e come sono fuori; sebbene il rapporto tra “performance” e “vita vera” sia troppo complicato da poter essere ridotto a una dicotomia netta, questa critica potrebbe significare proprio che per quest* comic* l’unica forma di comunicazione di certi sentimenti e certe tensioni sia la “performance”, ovvero la sublimazione artistica e testosteronica di quelle pulsioni, e che quindi utilizzino questa modalità anche scesi dal palco, laddove le altre persone hanno invece strumenti diversi per la gestione e condivisione di quel tipo di emozioni.
Sentendosi in dovere di dover essere sempre giusti e corretti (una pressione che, lo ribadisco, è autogenerata), i/le comic* si caricano di una tensione che viene poi sfogata in scena. Il registro della comicità, dunque, sarebbe esagerato non solo perché più grande è la distanza rispetto alla norma più fa ridere ma anche perché la comicità è l'espressione di contenuti che, dopo esser stati a lungo repressi, vengono liberati in maniera (verbalmente) violenta.
E’ interessante notare che questa forma di superamento del divieto (le battute, la comicità) è approvata dalla comunità: il/la comic* riceve attraverso la risata e attraverso l’applauso l’autorizzazione e la conferma che la rottura dell’interdizione gli/le era in qualche modo consentita, se non altro ex post. E’ come se, con la propria comicità, il/la comedian cerchi negli altr* il permesso di dire e fare cose che non si era dato da sol*.
Una volta eliminate le cause che avevano impedito uno scioglimento “sano” della tensione vissuta da* comic*, quest* dovrebbe esser portat* ad abbandonare quella parte della propria comicità che scaturiva da uno sfogo personale. Ovviamente vi sono anche altri stimoli per la creazione di pezzi comici e quindi è molto improbabile che un comico non trovi più cose di cui parlare. Però, altrettanto ovviamente, il prorpio percorso personale influisce anche sul tipo di comicità che si fa e quindi il/la performer che riesce a trovare un equilibrio migliore tra Es e Super-io cambierà almeno in parte il suo approccio comico. Va anche detto, però, che il rapporto tra Super-io e Es è sempre un rapporto negoziale: ci sarà sempre una tensione tra questi due poli e quindi ci sarà sempre spazio per la comicità.
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Ragionando su questi temi mi è venuto in mente un parallelismo che esula dalla comicità, ma ormai mi state leggendo e non vorrete mica perdervi un excursus politico, no?
Ecco. Come la comicità rappresenta un modo per superare l’oppressione del proprio Super-io, così per moltissime persone nel Novecento la sinistra ha rappresentato il sogno di liberarsi da una condizione di subalternità. E questo sogno collettivo coincideva con un’esigenza personale: ad aderire al Partito Comunista Italiano c’erano moltissimi individui “socialmente timidi”, con un temperamento che li aveva abituati a tenersi tutto dentro, a evitare il conflitto, subendo fino ad essere arrendevoli e che trovarono nel Partito un mezzo di riscatto che era contemporaneamente privato e politico. A conferma dell’analogia tra il comedian e questo tipo di uomo di sinistra, noto che al Super-io del primo corrisponde un rigore morale supremo del secondo (sfociante spesso in una sorta di bacchettoneria non inferiore a quella cattolica), che pretendeva da sé una purezza estrema e di essere sempre all’altezza dei propri ideali. Forse, sia detto per inciso, è da ricercare qui la presunzione di superiorità morale che viene imputata alla sinistra: dal desiderio di essere migliori, che significava innanzitutto essere migliori di sé stessi.
Per concludere la similitudine nella quale mi sono imbarcato: come detto prima, la soluzione che trova il/la comedian, dopo un lungo periodo di repressione, è inevitabilmente irruente (esagerata, scomposta, ecc.). Allo stesso mondo, per le masse soggiogate che per molto tempo non hanno alzato la testa, l’utopia offerta dal comunismo era violenta, nel senso di trasformazione radicale della realtà. La rivoluzione non è un pranzo di gala, e non lo è nemmeno un monologo comico.
Certo, la rivoluzione politica era (si proponeva di essere) collettiva e incideva (si proponeva di incidere) sulla realtà. A prima vista, il/la comedian invece è da sol*, e la sua lotta di liberazione è esclusivamente personale. Spero non mi fraintendiate, non voglio essere pessimista; mi piacerebbe obiettare che in realtà il/la performer è lo sciamano di un rituale catartico pubblico che coinvolge anche gli spettatori e le spettatrici e che l’arte, pur con tempi e traiettorie lunghissime e contorte, influisce sulla realtà; sono cose in cui credo e che non rinnego. La comicità è una cosa stupenda, e ha un valore inestimabile per me. Però oggi, per la prima volta, forse anche a causa di analisi con cui provo a mettere in discussione quello che sono, mi accorgo che tra le tantissime meravigliose cose che è, la comicità è anche la solitaria nevrosi di un individuo bloccato.
Segnalazioni
Una normale serata di stand-up in tibetano.
L’uomo che fissava le ghiande, ovvero il podcast di Maurizio Milani.
Sta per arrivare un documentario su Steve Martin.
L’angolo autoreferenziale
Con un manipolo di sodali stiamo organizzando gli Stati Generali della Stand-up Comedy a Milano. Ci sarà modo di parlarne.
Il form da compilare per partecipare è questo.
Dove vedermi live
Un po’ di date del mio one man show Nutro i miei dubbi: questa sera (19 aprile) andrà in scena al Nemiex di Cologno Monzese. Venerdì 3 maggio lo porterò a Il Sogno di Pergine (una data organizzata da Neon Agency), domenica 5 maggio sarà alla Hidden Kitchen milanese della Rugged Society, mentre il weekend 18-19 maggio mi vedrà sbarcare in Sardegna: sabato 18 a Lo Teatrì di Alghero e domenica 19 al Tical di Sassari (grazie a Albert Canepa).
Martedì 30 aprile farò due mezz’ore in due locali diversi: prima al Waag Cafè di Bolzano e poi al Domo di Trento. Una doppietta targata Schersito.
Farò mezz’ora anche in Brianza, all’Arci Mirabello di Cantù, in una serata presentata da Marta Dis venerdì 10 maggio in cui si esibirà anche Elia Cantù.
Domenica 12 maggio sarò ospite dell’evento Stand-up Comedy Bestiale alla Cascina Cuccagna di Milano, dove farò 15 minuti.
Sezione open mic: provo pezzi del mio nuovo show il 27 aprile al Bar Flavio (microfono aperto organizzato da Valtellina Comedy) e al Galileo Polpette di Milano il 16 maggio (primo turno, ore 19.30), hosted by Muttolina.
Le serate di improvvisazione e giochi col pubblico di Tutto Sotto Controllo (ovvero io, Davide Spadolà, Patrizia Emma Scialpi e Nando Prati) continuano: domenica 21 aprile alla Beer Station di Paderno Dugnano e il 9 maggio all’Eppol Pie di Milano.
Il video alla fine
A chi non è mai capitata una cosa così?
Spero a voi. Ciao!