Tinder is the new Ikea
Nella famosa (famigerata?) diatriba stand-up comedy vs. cabaret il secondo termine è diventato sinonimo di una comicità stantia, ripetitiva, banale, avulsa dalla realtà.
Oggi non voglio discutere della accuratezza di questa descrizione (che sicuramente nel periodo storico in cui è emersa aveva le sue ragioni e altrettanto sicuramente applicava semplificazioni eccessive a un intero genere comico); oggi voglio mettere in luce che molti degli aspetti negativi che venivano attribuiti al cabaret li possiamo ritrovare nella stand-up comedy. Insomma: la stand-up comedy è il nuovo cabaret.
Chi frequenta con assiduità le serate di stand-up non può non notare che ci sono temi ricorrenti. Troppo ricorrenti. La suocera e l’Ikea di cabarettistica memoria sono stati sostituiti dai preti pedofili e dalla necrofilia. E se un* comedian nomina gli ebrei, quale pensate che sarà la chiusa? Gli argomenti vanno a ondate: qualche tempo fa si faticava a trovare un* comedian che non parlasse di Tinder, adesso spopola la celebrazione (ironica, certamente) del Duce. E avete notato che a Milano, signora mia, si trovano solo omosessuali?
La questione non è specifica solo dell’Italia: notando che agli open mic di Berlino i topic sono sempre gli stessi, Caroline Clifford ha creato un bingo ad hoc con le cartelle che invece dei numeri hanno i temi trattati da* comedian (nell’articolo linkato prova a dare qualche consiglio per emergere da questa omogeneità).
Anche a livello stilistico assistiamo a tendenze di omologazione: Il crowdwork si svolge sempre nello stesso modo: che lavoro fai? Siete una coppia? Scopare!
Questa immobilità esiste anche a livello temporale: se il cabaret televisivo degli ultimi anni non funzionava perché proponeva situazioni che non esistevano più nella società, anche nelle serate di stand-up capita di sentire riferimenti polverosi. Basti pensare che ancora oggi si fanno battute su Berlusconi.
Tutte queste caratteristiche si concentrano nella figura dell’hack comedian (che ha dato il nome anche a una serie TV di successo, ora su Netflix), che in poche parole è il performer che fa battute vecchie o banali, magari di sicura presa ma incapaci di uscire da schemi altamente prevedibili.
Ma perché molta comicità sembra tendere a questo destino? Una mia ipotesi è che nel cabaret la ripetizione degli argomenti e dei punti di vista possa essere dettata dal cercare di soddisfare le aspettative del pubblico: voglio andare sul sicuro, dò agli spettatori e alle spettatrici quello che vogliono (o che credo che vogliano). Probabilmente anche nella stand-up le motivazioni di alcuni stereotipi sono quelle, ma credo che intervenga anche l’idea (tutta italiana e ancora dura a morire) che questo genere di comicità debba essere “cattivo”: l’adeguamento a questa presunto dovere di “provocazione continua” conduce inevitabilmente i e le comedian verso il sesso, le perversioni, un certo grado di cinismo e strafottenza.
Apparsa in Italia con una forza dirompente che ha introdotto un nuovo linguaggio e nuovi temi, la stand-up oggi ha un innegabile successo che fa sì che quel modo di esprimersi e quegli argomenti si siano diffusi al punto di risultare abusati.
Una precisazione, che forse dovevo fare all’inizio di questa mia filippica: chi è senza tormentone scagli la prima pietra. So perfettamente che, nonostante cerchi di avere un repertorio originale e di evitare strade troppo percorse, anche io cado spesso nel già sentito. E sì, ho un paio di joke su Berlusconi. Mi è fin troppo comune la sensazione che ti prende quando scopri che la battuta geniale che avevi pensato l'ha già fatta qualcun altr*: in quei casi voglio semplicemente morire.
Da autore, mi scontro col fatto che i pezzi che realizzo sono meno freschi di quello che vorrei. Perché? Scremata l’autocritica ingenerosa, la verità è che essere brav* comic* è difficile. Appoggiarsi a luoghi comuni e formule più o meno già confezionate è più semplice e avviene già a un livello precosciente: immersi in migliaia di battute dall’identica punchline, ci muoviamo anche noi in quella direzione automaticamente.
Ogni volta che si ritira o scompare un* politic* famos*, divers* scrittori e scrittrici satiric* lo/la commemorano più o meno ironicamente affermando che senza di lui o lei la comicità ha perso un enorme fonte di spunti. Questo tipo di narrazione racconta della pigrizia che ci minaccia tutt* e che ci fa concentrare su bersagli sui quali sono già puntati migliaia se non milioni di mirini.
Provare a essere più personali non è di per sé una soluzione: parlare di sé stess* spinge spesso i e le comedian verso la self deprecation, ed essendo il rapporto con le altre persone uno dei temi chiave della nostra esistenza, ecco che tantissim* comic* dicono che non scopano, o che si sono appena lasciat*. Sostenere che non conta l’argomento ma come lo si affronta è vero, ma rimane troppe volte solo una buona intenzione: nella pratica facciamo molta difficoltà a distinguerci dagli altri e dalle altre.
Mi sembra dunque che l’omologazione si sviluppi partendo da due tendenze distinte: nel mainstream è dovuta alla ricerca del consenso più largo possibile, che appiattisce verso una comicità del buon senso comune la cui perfetta adesione allo spirito del tempo ne sancisce la scarsa originalità; dal basso, invece, paradossalmente l’aumento di comedian (dovuto al riscontro crescente della stand-up) moltiplica il rischio di emulazione e poca creatività, con un conseguente abbassamento del livello medio. Va detto, però, che questo effetto negativo può essere ed è stemperato da diversi altri fattori positivi: le nuove generazioni di comedian portano aria fresca, si liberano dei tic di chi li ha preceduti e gettano le basi a nuovi modi di far ridere.
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Come se ne esce?
Intanto sapendo che la buona comicità richiede fatica, ed è un percorso che poggia certamente sul talento ma anche, e molto, sulla dedizione. “Bad ideas, by the way, are often the clichés your brain has been overexposed to” suggerisce questo articolo di Julian Shapiro sulla creatività, che sottolinea come la strada verso l’originalità passa per forza di cose dalla banalità, perché è naturalmente la prima cosa che viene in mente a un autore o autrice. La qualità non consiste dunque nel non avere idee banali, ma nel saperle riconoscere come tali e nel costringersi ad andare oltre, finché arrivano spunti più interessanti. Citando sempre questo articolo, “Il tuo lavoro inizia come una debole imitazione. Poi identifichi ciò che rende debole l'imitazione. Quindi ripeti l'imitazione finché non diventa originale”.
L’originalità non sta nei temi, non sta nel linguaggio, non sta nella tecnica delle battute e non sta nel personaggio che si porta in scena. Sta in tutte queste cose messe assieme, in un equilibrio variabile: non è detto che un monologo sul comico lasciato dalla propria ragazza non abbia una scintilla che lo rende unico; una parrucca non determina da sola la vecchiaia di un repertorio. Allo stesso tempo, usare le parolacce non fa di te un innovatore, e se vuoi fare black humor sarà bene che non ti limiti a enunciare che ti scopi tua nonna morta.
Bisogna avere pazienza, non accontentarsi, guardare quanta più comicità possibile, assimilarla e poi in qualche modo dimenticarsela, per partire da sé stess*, da quello che ci fa ridere, senza pensare a “quello che vuole il pubblico”. Scrivere, scrivere e continuare a scrivere. Giudicare con onestà, e con un po’ di severità, quello che abbiamo scritto. Trovare la propria voce, ovvero un modo unico di stare sul palco, che come ho scritto prima comprende l’acting, i testi, gli argomenti. Non è facile, ma nessuno qui aveva detto che lo fosse.
Segnalazioni
Un’approfondita analisi su come il nostro senso dell’umorismo cambi nel corso degli anni. Se vi piace la comicità, dovete leggerla.
Nicola Bozzi, curatore dell’ottima newsletter Letdown Comedy, ha scritto un interessante paper sul podcast di Joe Rogan.
L’angolo autoreferenziale
E sì che pensavo di aver risolto una volta per tutte la diatriba.
Dove vedermi live
Non avete ancora visto il mio one man show? Potete recuperare mercoledì 9 ottobre all’OltreBorgo di Santarcangelo di Romagna, giovedì 10 ottobre al Doppio Malto di Piazza Malpighi a Bologna o venerdì 11 ottobre alla Fucina 209 di Granarolo, date per le quali ringrazio Fausto Sandrone di Mic Drop Eventi.
Una novità: sabato 21 settembre inizia la Roast Battle di Schersito allo Zelig di Milano: un format che nel corso delle serate vedrà sfidarsi 32 comedian verso l’ambito premio finale, ovvero la gloria eterna. Ho l’onore di fare l’MC dell’evento, quindi accompagnerò questa avventura fino alla fine. La data successiva è sabato 5 ottobre, vi terrò aggiornat*sul calendario.
Riparte Tutto Sotto Controllo, il game comedy show di improvvisazione con me, Davide Spadolà, Nando Prati e Patrizia Emma Scialpi. Il debutto stagionale è domenica 6 ottobre al Griller Hop di Monza.
Come al solito, un po’ di appuntamenti meneghini:
Venerdì 27 settembre farò dieci minuti alla festa d’apertura del Lato B (thanks Diego Piemontese), dal quale giungeranno presto succose novità.
Domenica 29 sarò al Don’t tell mama, ospite della pazza serata condotta da Elisa Benedetta Marinoni: vi dico solo che il pubblico può dare dei dollari a* comic* che preferisce. Dovrò lucidare il mio tanga.
Quel giorno, come già sapete, si svolgeranno gli Stati Generali della Stand-up Comedy a Milano, dalle 13.00 alle 19.00 presso la Sala San Faustino. Qui il form per iscriversi ed eventualmente proporre punti da mettere all’ordine del giorno.
Lunedì 7 ottobre mi trovate a fare quindici minuti al Tranvai, per merito di Foma Fomic.
Martedì 24 settembre partecipo all’open mic dell’Osteria Democratica, mentre giovedì 3 ottobre a quello del Tin Cocktail Pub.
Il video alla fine
La versione fatta da Jim Carrey di Seinfeld è quello di cui avevo bisogno.
Settembre è il mese iniziale di una nuova stagione di stand-up comedy. Siete pront*?