La guerra comica dei sessi
La prima volta che ho visto Iliza, credo in uno degli speciali Netflix che ancora oggi sono nel catalogo della piattaforma, mi aveva colpito parecchio. L’avevo trovata fresca, divertente e soprattuto mi era sembrato che emanasse una irresistibile forza scenica dovuta alla sua capacità performativa che andava oltre il testo grazie ad un uso comico della voce e ad una fisicità elastica che sarebbero rimaste il suo marchio di fabbrica per tutta la carriera.
Quando, ad inizio 2020, annunciò un tour europeo mi affrettai a comprare un biglietto per la data svizzera a me più comoda, ovvero quella del 9 maggio a Basilea. Come credo immaginerete, il coronavirus ha sospeso la tournée facendole rimandare due volte le esibizioni, che alla fine sono riprese solo negli ultimi mesi e che l’hanno portata nella città elvetica lo scorso 30 ottobre. In occasione del suo spettacolo dal vivo, mi sono rivisto il materiale disponibile online per ricavarne una sorta di impressione generale da riportare in Tendenza Groucho. Quello che segue non è dunque un reportage, ma la messa per iscritto di alcuni spunti che il lavoro di Iliza mi ha suscitato e che riguardano lei, gli stereotipi di genere e la natura della stand-up comedy.
Dicevo della sua capacità performativa. Ricordo benissimo che, quando Iliza cominciava ad essere ampiamente conosciuta anche nei circuiti di stand-up italiani, un comico mio amico commentando l’ultimo suo special uscito lamentava il fatto che ormai avevano stancato “le vocine”. È innegabile che la comedian ne faccia ampio uso, così come adopera frequentemente posture innaturali, per imitare delle donne un po’ svampite, per scimmiottare (vedremo che mai verbo fu più azzeccato) l’uomo medio che ragiona col pisello, per esprimere gutturalmente i pensieri che affiorano di tanto in tanto nella mente di ognuno. La cosa può inizialmente apparire strana vista dall’Italia, dove la stand-up si è sviluppata come spettacolo basato prioritariamente sul testo, ma, lungi dall’essere un’eccezione, è l’esempio del fatto che invece altrove contempli anche espressioni più corporali, al confine col teatro.
In ogni caso, l’uso alterato della voce e del fisico è il suo mezzo privilegiato per descrivere l’umanità ed esprimere la sua visione del mondo, che che è chiara e netta dal suo primo show fino a quello proposto a Basilea.
In effetti, già in War Paint (2013, l’unico special oggi assente su Netflix), troviamo molto della sua poetica. Nella prima parte, più sincopata rispetto ai monologhi successivi, la comica propone a ritmo incalzante gag visive tra il buffo e il grottesco accompagnate da suoni e timbri altrettanto bizzarri. Quando racconta il desiderio di diventare una farmacista-strega, il tutto è un pretesto (ben riuscito) per inscenare un freak dalla voce creepy. Iliza dimostra una padronanza incredibile: alcuni bit sono veri e propri virtuosismi; la routine sulle categorie di persone imbarcate sull’aereo (tutte prima di te, ovviamente) mi ha ricordato certi exploit verbali di George Carlin.
Poi a un certo entra scena lei. Blanche, la sua cagnolina. Immagino i puristi della stand-up trasecolare di fronte a uno sketch che ha come spalla un cane. Ma a parte il fatto che fa morir dal ridere, l’inserimento del suo pet rafforza in qualche modo la genuinità di Iliza, ce la mostra come una ragazza normale, che come tutti ha momenti naive.
Si arriva infine all’altro cavallo di battaglia della comedian, il rapporto uomo-donna. Nell’opera di Iliza, questo tema è l’aspetto più centrale e al contempo più problematico, in un connubio di forza e debolezza che ne fa un caso molto interessante. Da questo punto di vista, War paint è ancora acerbo, e a quasi dieci anni di distanza suona troppo stonato sentirle affermare concetti come (le seguenti non sono citazioni letterali) “Nella coppia si mente perchè nessuno vuole davvero sapere quanto sei strana”, “Molte delle attività che fanno le donne le fanno per avere attenzioni da parte degli uomini”, “Le donne si odiano tra loro”.
Stiamo comunque parlando di uno special del 2013, quando lei aveva 30 anni e quando collettivamente forse non avevamo raggiunto un grado di consapevolezza sufficiente su queste questioni. A fronte di una certa immaturità, testimoniata anche dall’uso poco equilibrato delle vocine e dei versi (sì, abbiamo capito che le ventenni stupide belano, l’abbiamo capito già l’ottocentesima volta che l’hai fatto), si assiste a una performance esplosiva, energica e travolgente, che preannuncia il successo che otterrà di lì in poi.
La formula di Freezing hot (2015) è simile a quella dello show precedente. C’è tanto virtuosismo verbale e fisico, c’è Blanche, che arriva zompettando col suo musino sperduto, ci sono le vocine e le facce strane, c’è il racconto della vita di una trentenne che si sente ventenne e vuole comportarsi come tale; c’è il desiderio di far festa fino al devasto, che in War paint la portava a descrivere il weekend come le 48 ore che ti servono per mandare a puttane la vita per la quale stai lavorando così duramente e che in questo special la fa urlare: “Let’s make some fucking mistakes!”. E, soprattutto, c’è il party goblin, l’invenzione forse più celebre di Iliza, summa della sua cifra comica, che da sola basterebbe a garantirle un posto di rilievo nella stand-up contemporanea.
Confirmed kills del 2016 segna a mio avviso uno step importante per Iliza, che riesce a dare più spessore alla sua comicità. Pur partendo anche in questo caso da una storia apparentemente classica (e non per forza nell’accezione positiva del termine), ovvero il racconto della volta che non riusciva a trovare il rossetto nella sua borsa gigante, stavolta arriva ad una riflessione sulla vulnerabilità delle donne nella nostra società, che poi apre ad un monologo sulle molestie. Forte anche di un consenso sfegatato da parte di fan che ormai vanno in visibilio per la sua sola presenza, la comedian osa volare un po' più in alto, si ferma per fare appelli al pubblico, scherzando poi lei stessa paragonando il suo show a un Ted Talk. Questa maggior profondità, tra l’altro, modera l’istrionismo, rendendolo meno ripetitivo e più efficace. Il finale nel quale interpreta un’ospite del programma tv Shark Tank che subisce un crollo mentale in diretta è qualcosa di eccezionale, un atto performativo estenuante e divertentissimo che la fa chiudere in trionfo.
Certo, quello che dipinge Iliza è ancora un mondo abitato solo da donne folli e uomini cavernicoli (“You’re the closest thing we know to a bear”, spiegava ai maschi in War Paint), un’impostazione discutibile di cui non si libererà mai del tutto, ma con Confirmed kills qualcosa si muove.
La prova ce la dà, due anni dopo, Elder millennial, registrato a bordo della portaerei USS Hornet presso il museo in California dove è custodita. Ancora una volta è il rapporto uomo-donna a costituire il fulcro dei suoi racconti, ma ora Iliza raggiunge una fluidità e una bellezza espositiva che fanno di questo spettacolo il suo miglior show. Non rinuncia alla propria identità: il party goblin lascia il posto alla shedragon, la dragonessa che ogni donna nasconde durante i primi appuntamenti; c’è però più consapevolezza e sempre maggior spazio è dato a riflessioni che, pur muovendosi dalle posizioni di sempre, trovano finalmente un modo più aperto di problematizzare gli stereotipi culturali coi quali lei e la sua generazione sono cresciute, a partire dagli stilemi hollywoodiani a proposito di relazioni.
Il matrimonio annunciato in Elder millennial arriva davvero e occupa buona parte di Unveiled (2019) ad oggi l’ultimo show della comedian presente su Netflix. Le differenze tra uomo e donna che emergono dalle sue battute hanno questa volta una natura più espressamente sociale, figlie dei costrutti che regolano la nostra vita. Inquadrare la questione da questo punto di vista la colloca in una posizione meno fraintendibile e decisamente più interessante. Dal punto di vista performativo ribadisce la sua forza colossale, con un paio di trovate davvero irresistibili, come la donna granchio e il velo da sposa a coprirle la faccia. Per chi si era appassionato alla vicenda, segnalo con dolore che Blanche è morta e a sostituirla c’è un’altra cagnolina che fa la sua apparizione in abito nuziale.
E siamo giunti alla mia trasferta. Con due cambi di treno e dopo aver attraversato paesaggi montani che sembrano usciti dall’Almanacco dei Luoghi Comuni sulla Svizzera, con tanto di mucche nei campi ai bordi delle strade, prendo possesso della mia piccola stanza a Basilea, mangio un hamburger con patatine e sono pronto a vedere il suo nuovo show. Le porte del teatro aprono alle 18.30, ma alle 18 comincia già a formarsi una piccola coda, rispettosa del distanziamento sociale. Mi guardo attorno e vedo diverse coppie, un pubblico tendenzialmente di trenta-quarantenni che durante la serata mi darà l’idea che conosceva già la comica per la quale ha pagato il biglietto. Il Rhypark da fuori è un anonimo edificio basso e da dentro non è molto meglio: uno spoglio salone da concerti riempito di sedie che Iliza ridendo definirà “auditorium scolastico”.
In questa nuova performance, la comica torna sui focus che da sempre l’hanno contraddistinta con l’approccio che ormai dovreste avere compreso. In scena col pancione, esordisce parlando della maternità, alternando a suo modo immagini classiche revitalizzate da un acting perfetto (la donna che si tiene la mano sulla pancia per far capire a tutti che è incinta, e non grassa) a battute più ficcanti, come quando ricordando di essere del Texas dice che ai suoi conterranei redneck ha spiegato che sta aspettando un bambino e che “The best part it’s that it’s my choice”. Ritorna sulla sua luna di miele in Italia, che aveva già raccontato in precedenza (descrivendo lo Stivale come il paese dove l’alcol si trova dappertutto), per aggiungere nuove sfumature alla discrepanza tra chi viene da Marte e chi da Venere. Il momento party goblin ora vede l’apparizione di una gross fairy pronta a distruggere emotivamente una donna facendo leva su tutte le sue insicurezze. Non è particolarmente nuovo rispetto al repertorio, ma forse non hai bisogno della novità quando riesci a far ridere così facilmente. Si parla anche di coronavirus, di come ci abbia privato della socialità, un aspetto fondamentale delle nostre vite, anche di quelle di chi odia le persone, perché tutti vogliono stare in mezzo alla gente. È una delle parti più serie del monologo, prontamente equilibrata con un bit sui balletti di TikTok nel quale Iliza, completamente a suo agio nell’impersonare il grottesco che ci abita, dà il meglio di sé.
Cosa mi ha lasciato, questo tour de force nel canone iliziano? Alcune considerazioni. Innanzitutto, vederla dal vivo mi ha riacceso un dubbio che era già emerso in una vecchia puntata della newsletter. Nonostante sia ormai super-affermata, a Basilea Iliza è stata brava a mantenere vivo il rapporto con la platea, che sicuramente pendeva dalle sue labbra ma che lei hai interpellato davvero, rivolgendosi a noi pur godendo del suo status di vip. Ed è questo il punto: se la peculiarità della stand-up comedy è proprio il dialogo reale col pubblico, il qui e ora, la relazione quasi senza mediazione che si instaura tra comico e astanti, allora la variabile “successo” muta radicalmente l’equazione. Più sei famoso più rischi di perderlo questo legame autentico, perché praticamente ogni aspetto ti rema contro: gli spettatori smettono di ascoltarti sul serio e passano alla modalità “celebrazione” accettando passivamente e in maniera gioiosa quello che proponi loro; tu ti troverai di fronte a platee di volta in volta più vaste e inevitabilmente passerai dal parlare col pubblico a parlare al pubblico, senza cioè vivere l’interazione a un livello paritario; persino la struttura fisica dei posti dove ti esibisci, con palchi sempre più grandi, la cui altezza ti allontana dai presenti, seduti in posti che nulla hanno della calda intimità dei tavolini dei club, contribuisce alla distanza e trasforma quello che fai in una forma più vicina al monologo teatrale (contro il quale non ho nulla, mi limito a segnalare che sono due espressioni artistiche con caratteristiche differenti). Mi sono chiesto dunque se l’essenza della stand-up (o meglio: del mio modo di intendere la stand-up) possa trovarsi solo nei locali piccoli, e in tal caso dove sia il lmite dimensionale oltre il quale la cosa non funziona più, come debba comportarsi un comico che aspiri comprensibilmente al successo, quanta consapevolezza e forza occorrano per decidere eventualmente di rinunciare a salti di carriera pur di salvaguardare ciò che di prezioso ha la stand-up a livello di esperienza umana.
Vedere di fila tutti gli show di Iliza mi ha però fatto riflettere soprattutto su di lei e sul suo modo di raccontare le dinamiche uomo-donna. Mi sono spesso ritrovato a pensare che esercita semplificazioni eccessive, ma che ha un’innegabile capacità di ricavarne gag divertentissime. Il difetto più grande, secondo me, è che non viene mai presentato un uomo che non corrisponda allo stereotipo che lei ha in mente, ovvero quello del gorilla che non sa cosa fare di fronte alle emozioni delle proprie compagne. Potrebbe essere una mia visione di parte: da uomo non mi sento rappresentato dai suoi aneddoti, pur trovandola molto divertente quando imita i maschi atteggiandosi a primate.
Credo sia un meccanismo piuttosto comune: la comicità si basa su un conflitto, ed è quindi naturale tanto per le comedian quanto per i comedian concentrarsi sugli aspetti per i quali il/la partner differisce da loro, facendone spesso un ritratto caricaturale. Questo mi ha fatto ragionare sul mio modo di essere comico: è possibile che anche nel mio caso il pubblico femminile trovi stereotipate le descrizioni che propongo delle donne? Fino a che punto sono riuscito ad includere nei miei racconti donne vere, senza appiattirle sulla mia concezione parziale? L’arduo compito è introdurre le sfumature in un’arte come la comicità che per funzionare deve essere perentoria.
In fondo, quello che fa Iliza non è nulla di nuovo: parla di quanto siano diversi uomini e donne, ma lo fa con una potenza che la rende unica. Gioca sugli stereotipi di genere, a volte fino a cavalcarli esplicitamente. L’ambiguità sta proprio qui: ripropone il luogo comune della ragazza che fa impazzire il suo uomo col carattere irrazionale e isterico (molte volte il sottotesto dei suoi pezzi è “Noi donne siamo pazze” ), ma appropriandosene, rivendicandolo, il che rende più difficile bollare il tutto come sessista. Di più, questa ambiguità funziona anche da protezione: io stesso potrei essere accusato di mansplaining nel giudicare da maschio il modo col quale lei, comedian femmina, parla delle donne. Ne sono consapevole e accetto il rischio perché ritengo di non stare scrivendo divieti e prescrizioni, ma stimoli per un dibattito al quale tutti dovremmo poter partecipare.
Un inciso: trovo molto interessante l’essenza estremamente pop di Iliza (sia nel bene, con riferimenti sempre azzeccati al mondo in cui viviamo tutti, che nel male, con l’insistenza sull’orgoglio d’essere americana e le prese di posizione mai davvero provocatorie), iconicamente distillata negli hashtag delle battute che compaiono sullo schermo durante gli show, a sancire la natura prêt-à-porter dei suoi joke; interessante perché rimescola le carte nella diatriba tra stand-up e cabaret. Mi è tornata in mente la celebre intervista a Filippo Giardina nella quale il comico romano dichiarava che “Stand up comedian è semplicemente la traduzione del termine cabarettista, non c’è alcuna differenza a livello di tipo di spettacolo”; magari su questa cosa ci torniamo prossimamente (sarebbe davvero troppo lunga per esaurirla qui), ma da un certo punto di vista è vero che fenomeni come Iliza, con la loro verve spumeggiante e un’attitudine sul palco al passo coi tempi applicate a temi e impostazioni tutto sommato classiche (uomo grossolano-donna sensibile) dimostrino che c’è più fluidità tra le due categorie di quanto entrambe siano disposte ad ammettere.
Per Iliza i comportamenti umani sono assurdi, ma ancora più assurde sono le norme che regolano i rapporti sociali, i quali dividono in maniera netta e squilibrata uomini e donne (indovinate a favore di chi). Uno degli aspetti più convincenti dei suoi testi è proprio il porre l’attenzione su questa disparità di aspettative che la società ha nei confronti dei maschi e delle femmine. È riuscita a mostrarlo in maniera cristallina in The Iliza Shlesinger Sketch Show, il programma Netflix che le ha dato modo di sfogare la sua indole multiforme facendole interpretare numerosi e assurdi personaggi; mi riferisco in particolare all’episodio della riunione stile alcolisti anonimi per donne che non riescono a conformarsi al ruolo che il mondo vuole imporre loro: come l’alcolista fa pubblica ammenda perché ha ceduto alla bottiglia, così le protagoniste dello sketch chiedono scusa perché in un momento di cedimento hanno pensato che la loro opinione contasse, che potessero mostrarsi sicure di sé e apprezzarsi.
Nonostante col passare del tempo Iliza proponga questa visione in maniera sempre più esplicita, la comedian sa sempre evitare l’effetto comizio mantenendo salda la barra della comicità. La freschezza cui ho accennato all’inizio deriva dalla bravura nell’esagerare scene realistiche, comuni per una elder millennial. Iliza non guarda il mondo dall’esterno, è immersa nella società sulla quale scherza. Quando parla dell’ossessione per il matrimonio perfetto, o dei litigi programmati sin nei minimi dettagli, si capisce che è sincera, che ciò che racconta deriva dal suo vissuto o perlomeno dalla sua sensibilità. Le situazioni che descrive possono anche essere luoghi comuni, ma proprio in quanto tali appaiono naturali al pubblico, che ci si riconosce appieno. Le sue gag sono ambigue proprio perchè ironizza su stereotipi che comunque ha interiorizzato, sbeffeggiandoli e confermandoli contemporaneamente senza mai risolvere questa contraddizione. Ed è precisamente in questa ambivalenza che sta il fascino di una comedian capace di portare ad un livello mainstream le istanze del femminismo e allo stesso tempo di ottenere la benevolenza del pubblico proponendo il conflitto tradizionale uomo-donna.
Segnalazioni
È morto a 94 anni Mort Sahl, purtroppo non abbastanza conosciuto in Italia, nononostante sia unanimemente riconosciuto come uno dei pilastri della comicità statunitense.
In Canada fa molto discutere il caso del comedian portato in tribunale per un suo pezzo su un ragazzo disabile diventato famoso in tv per le sue doti di cantante, il quale in seguito al monologo del comico era stato bullizzato a scuola fino a indurgli desideri suicidi. Pochi giorni fa, la Suprema Corte del Canada ha stabilito che il comico non va condannato perché, pur avendo detto “some nasty and disgraceful things” sul ragazzo, ciò non si configura come discriminazione in quanto “did not incite the audience to treat as subhuman” il ragazzo disabile. “A discrimination claim must be limited to speech that has a truly discriminatory effect”, la conclusione della Corte, che riapre un dibatitto lungi dall’esser concluso.
A proposito di cancel culture, il Los Angeles Times ricorda come il rapporto tra comicità, censura e opinione pubblica sia sempre stato conflittuale, e che in realtà “Comedians have far more freedom today”.
L’angolo autoreferenziale
Sono stato intervistato dal programma Muoviti muoviti di Radio Popolare. Mi trovate qui, più o meno dal minuto 38.18.
Dove vedermi live
Proprio questa sera, venerdì 19 novembre, sarò alla Birreria Majnoni di Erba in apertura a Giorgio Magri, che avrò poi l’onore di presentare il 23 novembre a Senago (qui l’evento Facebook) nella rassegna che sto organizzando al Wipe Out. Due giorni dopo, il 25 novembre, parteciperò all’open mic di Bruce Ketta al Victoria’s di Milano.
Esattamente nel mezzo, mercoledì 24 novembre, farò la mia apparizione al Ghe Pensi Mi, sempre in territorio meneghino; si tratta di uno dei migliori locali per la stand-up comedy, che tra l’altro ha battezzato la mia prima mezz’ora su palco nel 2017.
Il video alla fine
Benny Feldworm è un comico e ha la sindrome di Tourette. Servono altre presentazioni?
Anche oggi siete arrivati alla fine di Tendenza Groucho. Complimenti!