Accostamenti pericolosi
Qualche tempo fa, il comico Xhuliano Dule è stato al centro di una polemica per una battuta su Salvini fatta a Propaganda Live. Nei giorni successivi ne ho parlato con divers* collegh* e amic* e ho partecipato alla conversazione nata da un post a tema di Francesco Lancia. Parto da quelle considerazioni per provare a elaborare un ragionamento più strutturato.
Innanzitutto, ecco la battuta incriminata:
“Io l’ho studiato sì Vance, ho letto il libro. Elegia americana. L’ho letto quando facevo (sic) un piccolo studente albanese all’Università commerciale Luigi Bocconi. Ora, so che dire "Bocconi" e "albanese" nella stessa frase è una cosa che fa venire tipo un ictus a Salvini. O almeno spero”.
Poco dopo, nella stessa trasmissione, Diego Bianchi si scusa, spiegando che essendo un programma in diretta a volte si improvvisa e possono capitare battute infelici. Sui social il Segretario della Lega pubblica lo spezzone col titolo virgolettato “Spero che venga un ictus a Salvini” e commenta: “Un conto è fare satira, diverso è augurare la morte a qualcuno, e riderci su”.
Sgombriamo subito il campo da alcuni equivoci emersi attorno all’episodio: quella di Dule è una battuta. Intendo proprio dal punto di vista tecnico: quell’“O almeno spero” è un colpo di scena, genera sorpresa rispetto alla premessa, arriva inaspettato; questa “misdirection” è esattamente il compito delle punchline, i finali delle battute. Senza quella chiusa, la frase precedente esprime un concetto divertente (l’accostamento tra “Bocconi” e “albanese” fa venire un ictus a Salvini) ma non in forma di battuta. Esistono infatti diversi modi di dire cose comiche e non tutte passano dall’uso delle battute. Ma è evidente che, se siamo d’accordo sul fatto che per essere una battuta ci deve essere una qualche declinazione della formula set-up / punchline (e non vedo perché non dovremmo essere d’accordo su questo), allora quella di Dule è oggettivamente una battuta.
L’obiezione a questo punto potrebbe essere che, per definire qualcosa una battuta, non basta che sia sorprendente, deve anche avvenire in un contesto “sicuro”. Come ha scritto Francesco Lancia:
Una delle teorie più convincenti sull’origine psichiatrica della risata […] fa risalire ogni risata ad un meccanismo solo ed unificante: quello del rilassamento dopo uno scampato pericolo. […] Ecco, alcuni dei “professoroni” della risata sostengono che ogni singola risata […] ha fondamentalmente quel meccanismo evolutivo lì: qualcosa di apparentemente pericoloso che, al momento giusto e alla giusta velocità, scopriamo essere innocuo.
Effettivamente se ci pensate, ci sono diverse testimonianze a sostegno di questa tesi: molte persone, ad esempio, ridono per il video di un tipo che cade dalle scale, ma, probabilmente, lo farebbero molto meno se a cadere dalle scale fosse un proprio caro. O meglio, prima verificherebbero che non si sia fatto niente, poi, eventualmente, ne riderebbero. […] Quando invece un artista (con o senza apostrofo) abile costruisce una potente immagine comica ridiamo perché quel genio […] è stato in grado di usare al meglio il suo talento nel creare incongruenze non pericolose.
Chiediamoci allora: Dule che di fronte alla possibilità che qualcosa faccia venire un ictus a Salvini chiosa dicendo di sperarlo è una incongruenza pericolosa? La risposta a questa domanda è ovviamente DIPENDE. E’ tutto abbastanza soggettivo, e capisco che qualcuno possa rispondere “sì”. Io invece ritengo di no; l’avrei percepita pericolosa se nella battuta Dule avesse sperato che qualcuno spari a Salvini, perché in qualche modo avrebbe evocato un’azione violenta e volontaria. Inoltre, mi pare che la punchline parli più di Dule che di Salvini: mi rivela una “debolezza” del comico, che mostra la propria meschinità nel non sapere trattenere l’odio nei confronti del Vicepresidente del Consiglio. A far ridere, è proprio la violazione di quella norma sociale che vorrebbe che un sentimento del genere non fosse espresso.
Quindi i livelli sono due: quello tecnico (è una battuta perché tecnicamente la punchline è inaspettata) e quello del contenuto (“Odio Salvini”). Nella comicità, questi due livelli instaurano tra loro un rapporto di reciproca influenza; a far scattare la risata è certamente la tecnica: se una battuta è scritta bene funziona meglio; ma il contenuto che veicola può amplificare o diminuire l’effetto comico nell’ascoltatore, a seconda che quest’ultimo lo condivida o meno. Per questo motivo alcune battute ci fanno più ridere e altre meno, e se toccano tasti dolenti può succedere che non ci facciano ridere affatto, pur continuando a essere battute.
Allo stesso tempo, il contenuto assume un valore diverso proprio perché è espresso in forma di battuta. Se la comicità de-sacralizza i bersagli contro cui si scaglia, può agire anche sulle tesi sostenute dall* performer, inquadrandole in un contesto (quello comico) che gli/le toglie potere perché abbatte l’ipotetico piedistallo dal quale potrebbe parlare. Come ho già avuto modo di dire, il più grande atto politico della comicità è il manifestare la relatività (e quindi la suscettibilità alla risata) di tutto, compresi i propri convincimenti.
Anche l’odio può subire questo processo, diventando oggetto di scherno. Per questo credo che la battuta di Dule non equivalga alla frase “Spero che a Salvini venga un ictus” (che, priva di un contesto, non ha altre sfumature oltre al significato letterale), come invece viene erroneamente riportata.
Ma sono consapevole che è un discorso delicato: seguendo questa strada il rischio è di arrivare a sostenere che le parole di un* comedian non hanno un peso, che è lontanissimo da ciò che penso. Un peso ce l’hanno eccome! Il modo comico non assorbe mai del tutto la violenza insita nei concetti espressi, anzi a volte (troppo spesso) è uno strumento “leggero” per mascherare idee oppressive, discriminanti, aggressive. Mi sembra però che, se ad esempio in una battuta razzista il/la comedian ritenga che uno stereotipo/pregiudizio attributo ad altr* sia divertente, nel caso di Dule la cosa con cui vuol far ridere è un suo sentimento, espresso nella maniera esagerata tipica della comicità. Credo che questa distinzione nell’oggetto di cui si ride tra una (presunta) caratteristica altrui e un qualcosa che riguarda il/la comedian stess* faccia la differenza.
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Però è importante ripeterlo: la battuta di Dule ha in sé una dose di “violenza”, sarebbe sbagliato nasconderlo o negarlo, e non gli farebbe un giusto servizio. Lui, da comico, si prende la responsabilità di esprimere in forma di battuta l’odio che prova per Salvini. Ora, sì può essere d’accordo o meno su questo modo di dichiarare avversione al Segretario della Lega, ma è proprio questo il punto: io, con le mie idee politiche ecc., leggo la battuta come la giusta espressione di un’ostilità a un personaggio pericoloso fatta da una persona meno potente di Salvini (il classico punching up); è però “legittimo” che altre persone con altre idee la giudichino in maniera totalmente diversa. Lo stesso meccanismo, al contrario, succede quando sento una battuta “antiwoke”: io la giudico “sbagliata” nel contenuto, e quindi non mi piace, altri la ritengono un attacco dovuto a qualcosa (il woke) che ritengono sia sbagliato. Pensiamo alle battute sulle persone trans, sulle persone di colore, su Israele e Palestina… il meccanismo è sempre quello. Fa parte del gioco. Quello che dovremmo imparare tutti, di fronte a una battuta che non ci piace, è limitarci a dire: “Non mi piace”, criticarla nel merito, al limite scrivere noi battute che ci piacciono; ma la prossima volta che sentiamo Gervais & Co. accanirsi su Greta Thunberg, ricordiamoci di questa battuta di Xhuliano: lottare perché il mondo (comico) la pensi politicamente come noi è sacrosanto, così come invitare a una riflessione collettiva su certi temi e certe battute, ma la soluzione non può essere censurare. Difendiamo il diritto di ognuno a esprimersi e contemporaneamente pretendiamo che chi sale sul palco si assuma la responsabilità di quello che dice. Dule l’ha fatto.
C’è chi, commentando la vicenda, si è concentrato sugli effetti “collaterali”, evidenziando ad esempio come Salvini abbia cavalcato la polemica e suggerendo che per molte persone quella battuta fosse “respingente”, confermando magari il loro pensiero che “si è andati troppo oltre”.
E’ certamente vero che il Vicepresidente del Consiglio è campione di vittimismo e cerca sempre di girare a proprio vantaggio quello che succede, ma questo non può essere una scusa per non fare più niente né per esprimersi su di lui, perché ciò vorrebbe dire dargliela vinta.
Faccio tra l’altro notare che Salvini non si è appropriato della battuta, come invece Meloni aveva fatto con la canzone Io sono Giorgia, rilanciata con orgoglio: in quest’ultimo caso il contenuto comico non aveva evidentemente un potenziale critico sufficiente per risultare inutilizzabile dal destinatario, mentre nel caso della battuta di Dule l’unica cosa che può fare Salvini è simulare l’indignazione acchiappalike.
Ovviamente, consci del fatto che oggi la comunicazione sia estremamente polarizzata, ipersemplificata e superficiale, complice la predominanza dei social nel discorso pubblico, i e le comedian devono fare ancora più attenzione alle parole che usano, assicurandosi di essere il meno fraintendibili possibile, ma non si riuscirà mai a ridurre a zero la possibilità del vittimismo, soprattutto in questi tempi di distorsioni sempre più spudorate. La vera sconfitta allora non è incappare in una polemica costruita ad arte, ma ritrarsi dall’agone.
Le considerazioni su come possa essere stata recepita la battuta da parte degli spettatori chiama in causa il contesto dove è stata fatta, ovvero la televisione. Un programma in prima serata, viene detto, non è la situazione giusta per fare questo tipo di comicità. A tal proposito, mi è tornato in mente questo spezzone del podcast di Cattelan con Eleazaro:
Sono d’accordo con quello che dice il comico: la televisione è un contesto diverso da quello del palco ed è normale che in contesti diversi ci siano limiti differenti, tanto più che la televisione arriva a tutt* e quindi potenzialmente anche a persone con sensibilità molto diverse dalla tua. Ma resta aperta secondo me la questione di quanto si possa provare ad allargare la sfera del dicibile in TV e dei metodi migliori per farlo. Ammettiamo che, nel caso della battuta di Dule, fosse davvero il contesto sbagliato: è un dato incontrovertibile che certa comicità non è adatta alla televisione, oppure si può cambiare? E se si può cambiare, non è proprio “osando” che si contribuisce al cambiamento? Anche qui, non ho risposte definitive, e accetto che qualcuno ritenga che lo “strappo” di Dule fosse troppo forte, mentre sarebbe utile un approccio più “morbido”. Quello che rivendico, però, è che un tentativo per introdurre il linguaggio della stand-up comedy in tv (e per reintrodurvi quello della satira, che per lungo tempo ci ha abitato) vada fatto, perché sarebbe un arricchimento culturale e civile per la società avere dimestichezza con un codice espressivo adulto, complesso e capace di parlare con più profondità del mondo che ci circonda. Per riuscirci, è necessario sviluppare anche un apparato critico (fatto di giornalisti, recensori, intellettuali) che sappia inquadrare bene le questioni e aiuti la divulgazione di questo genere di comicità presso il grande pubblico.
Un’ultima riflessione: ragionare su questo episodio mi ha spinto a chiedermi alcune cose su me stesso in quanto comico e in quanto spettatore. Mi è più chiaro che ci sono casi e situazioni nelle quali ammetto e anzi condivido una certa dose di “aggressività”, giustificandola in base alle mie idee. Sono convinto di queste mie opinioni, che mi mettono in un territorio problematico, nel quale posso vivere solo rispondendo con onestà agli interrogativi che vi germogliano: quale “odio” sono disposto a tollerare? In che quantità? E in che forma? Dove metto i miei distinguo? E, cosa ancora più importante, perché?
Credo che queste siano domande che non interrogano solo me, ma tutti.
Segnalazioni
Sorry/Not Sorry è un documentario sull’affaire Louis C.K. Qui una bella intervista alle registe.
Il segreto di George Carlin? La musicalità.
Ne parlavamo sopra: di come l’umorismo possa servire a rendere più accettabili messaggi d’odio e bigotti.
L’angolo autoreferenziale
Ho iniziato a collaborare con la pagina satirica Prugna, e una mia battuta è finita in prima pagina su La Sicilia:
Dove vedermi live
Martedì 1 aprile porto il mio one man show Nutro i miei dubbi al NOF di Firenze (con ringraziamenti a Mario Raz per l’invito). Mercoledì 16 aprile lo propongo al Doppio Malto di Verona (una data powered by MicDrop Eventi aka Fausto Sandrone).
Sabato 12 aprile faccio mezz’ora a Fermata Clown (Milano), thanks to Marco Lillo Di Biase. Assieme a me, Elianto.
Mercoledì 2 aprile mi trovate al Broadwine di Milano, in una serata collettiva organizzata da Matteo Zaffarano.
Domenica 6 aprile sono in una serata da Rugged Society a Milano, con Assane Diop, Giulio Oldrati e Greta Cappelletti as MC.
Giovedì 17 aprile sarò il comedian in una serata jazz a L’ultimo metrò di Milano, ospite di Mattia Bozzo.
Tutto Sotto Controllo, il game show di improvvisazione con me, Davide Spadolà, Nando Prati e Patrizia Emma Scialpi torna domenica 30 marzo al Griller Hop di Monza.
La Roast Battle allo Zelig di Milano prosegue sabato 29 marzo (i biglietti si trovano qui) e sabato 5 aprile.
Martedì 8 aprile si festeggia la centesima serata di stand-up dell’Osteria Democratica di Milano con un open mic atomico orchestrato da Tommaso Adami.
Il video alla fine
Lei è Cristina Mariani, da un po’ di tempo l’algoritmo me la propone spesso, e ne sono estremamente felice.
Non so mai cosa scrivere alla fine della newsletter.
Secondo me hai scritto anche troppo, sperare che qualcuno muoia è umano, non è un reato e credo sia un sentimento largamente diffuso, se poi questa speranza è rivolta a Salvini di che stiamo parlando? La battuta a mio avviso è buona in ogni contesto.