Non solo traumedy show
Scrivere la newsletter mi dà la scusa per vedere e rivedere show di stand-up, partendo magari dalle ultime uscite (pur senza ansia di recensire uno special un’ora dopo che sia uscito). Anche per questa puntata colgo l’occasione della pubblicazione di Crazy good, nuovo spettacolo di Neal Brennan, per ripercorrere la sua carriera attraverso le performance reperibili online e sulle piattaforme. Allo stesso tempo, sfrutto il comedian americano per ragionare su questioni che riguardano i e le comic* in generale.
Cominciamo con The half hour, una mezz’ora (20 minuti in realtà) registrati per Comedy Central nel 2012. Brennan inizia raccontando di essere povero (e di quanto sia medievale chiamare “landlord” il proprietario del suo appartamento), per poi passare in rassegna temi non correlati tra loro saltando da uno all’altro con velocità, un modo di raccontare che lo accompagnerà lungo tutto il suo percorso artistico. Tra gli argomenti racchiusi in questo monologo: porno (potete smettere di farne, ne abbiamo a sufficienza), il football come sport che pare inventato da un bambino di otto anni, relazioni uomo/donna e dick pic. “You know why all the commercials are for women? ’Cause you can’t advertise what guys want”. Ci sono anche battute su George Bush e Barack Obama, per chiudere con l’idea per uno sketch del Chappelle’s Show (del quale Brennan è stato autore) ambientato l’ultimo giorno in cui è stata legale la schiavitù negli USA.
Nel complesso, si tratta di una bella performance, piena di battute e già forte di una fisicità sicura, che si presta a gustose scenette comiche; un limite, forse, è che non è troppo personale: dall’intero set non emerge chi sia Neal Brennan, né le sue peculiarità che lo distinguono dagli altri. Ma questo, come vedremo, sarà paradossalmente uno dei suoi tratti distintivi.
Women and Black Dudes del 2014 è il primo vero special (ringrazio Luca Paini per avermene messo a parte). Partendo dalla parola “retarded”, Brennan fa un ragionamento su quanto siano coglioni gli esseri umani, echeggiando un celebre monologo di Hicks su Gesù e altri grandi personaggi della storia. Parla poi della sua infanzia in una scuola cattolica, con una bella dose di irriverenza cattiva, e si arriva a un pezzo sulle differenze tra bianchi e afrodiscendenti, nel quale Neal, da bianco, satireggia sulle disuguaglianze e sul controllo del potere dei bianchi.
Da lì si passa a una nuova routine su Obama e su altre “razze” (cito lui); se la riflessione sulla n-word scivola un po’ nel superficiale, il ragionamento complessivo è più articolato, e contiene alcuni dei joke più belli dello show.
Va detto comunque che, aldilà della costruzione innegabilmente ben fatta, alcune battute sono invecchiate male; in un passaggio, ad esempio, Brennan dice letteralmente: “Alle donne non interessano gli uomini, alle donne interessa essere belle”. Provo ad andare oltre la mia allergia per qualsiasi discorso che generalizza (davvero tutte le donne sono così? Tutte le MILIARDI DI DONNE ESISTENTI?) e a imbastire una riflessione più ampia. Posso riconoscere (a rischio di usare un luogo comune per parlare di luoghi comuni) che negli stereotipi a volte c’è un brandello di verità, sepolta da tantissimi strati di banalizzazione; va poi detto che, nel caso specifico, sto giudicando scontato un pezzo di dieci anni fa, ma non ho le competenze per dire se nel 2014 lui è stato il primo a parlarne, o il migliore a scolpire nella memoria collettiva questo stereotipo; inoltre, è innegabile che fare battute sostenute da stereotipi o comunque da quello che chiamiamo senso comune le rende molto catchy: hanno presa sul pubblico proprio perché si muovono in un territorio subito comprensibile, che conferma quello che già si pensa. Da un certo punto di vista, è anche giusto che i e le comedian provino a catturare lo spirito del tempo: la comicità è una delle forme d’arte più aderenti alla contemporaneità e la sua forza sta anche in quella capacità di sintetizzare in poche frasi quello che succede attorno a noi a livello di costumi. Però, anche senza scomodare una visione politica della comicità che vorrebbe che i/le comedian esprimano idee controcorrenti rispetto allo status quo, c’è comunque un limite da tenere sempre in considerazione: quello che separa la sacrosanta attenzione al presente dalla ripetizione meccanica di luoghi comuni. Arrivando al generale, mi chiedo: quant* comedian oggi vanno oltre lo spirito del tempo? Mi ci metto dentro anche io. Quanti monologhi ho scritto o sentito che davvero non ribadiscono la morale e le convenzioni cui siamo abituat*? La difficoltà, ovviamente, sta nel fatto che certe morali e certe convenzioni di oggi ci sembrano giuste, e allora perché contraddirle? Non voglio suonare troppo relativista, ma penso sia sano di tanto in tanto sfidarsi e provare a mettere in discussione ciò che diamo per assodato.
Ritornando a Brennan, il suo personaggio è un mix strano: fisicamente non aggressivo ma con atteggiamenti molto risoluti; con contenuti che sfiorano l’arroganza, stemperata però da un’intelligenza troppo raffinata per essere davvero volgare, persino nel finale tutto dedicato al sesso, nel quale tra le altre cose esprime una spassosa ipotesi su come sia stato inventato il 69; possiede una delivery precisissima, ogni pausa regala una risata. Questo insieme di cose delinea un performer sfuggente a facili incasellamenti, anche quando, col prossimo special, verrà naturale provare a etichettarlo.
3 mics (2017) segna infatti un cambio di passo. L’idea è appunto quella di avere tre microfoni sul palco, ai quali corrispondono tre sezioni differenti dello spettacolo: quando usa il primo microfono Brennan fa one line (leggendo le battute da un foglietto, tutte come al solito esilaranti), col secondo racconta “emotional stuff”, col terzo fa un monologo di stand-up più classico.
Dopo un primo breve bit rivolto ai giovani, la prima generazione che scopa meno dei genitori, Brennan introduce lo scandalo che ha travolto il ciclista Lance Armstrong (scoperto ad usare doping) per ragionare sul rapporto che abbiamo con le celebrità, anche quando queste fanno cose disdicevoli. Neal è in formissima e offre una decina di minuti scoppiettanti sul tema, allargandolo ai giocatori di football per finire poi a parlare di armi e terrorismo. E’ strepitosa la perfezione con cui ha cesellato i suoi racconti.
La parte dei monologhi si svolge come negli special precedenti, con Brennan che spazio da un argomento all’altro dedicando a ciascuno qualche joke, tutti sapientemente confezionati: religione, amici neri (con una battuta straordinaria sugli italiani) e un nuovo pezzo “uomo/donna”, decisamente migliore dei precedenti perché riesce a far ridere facendo emergere contraddizioni e problematicità.
Ovviamente, la parte che ha destato più interesse è quella del secondo microfono. “Sono depresso” esordisce Brennan da quella postazione, spiegando che si riferisce proprio alla condizione clinica. Il tono è decisamente diverso, più narrativo e senza l’ansia di dover far ridere ogni pochi secondi. Parla di suo padre, un alcolizzato che terrorizzava i figli, e di come lui abbia cercato per un po’ di tenersi a galla coi successi lavorativi nel mondo della televisione per poi accorgersi che quei tentativi di star bene non funzionavano ed era necessario andare dallo psichiatra e assumere antidepressivi. “Dire che ho una bassa autostima non è corretto. Non ce l’ho proprio l’autostima, né la struttura per le emozioni positive”. Da quel momento ha provato di tutto per star meglio, dall’attività fisica a ogni tipo di medicinale e trattamento medico. Nel momento in cui ne parla la depressione si è attenuata, senza andarsene del tutto. Si tratta di una confessione toccante, spiegata molto bene, che per un po’ ci allontana dalla comicità (anche se una delle battute per cui ho riso di più, ad alta voce mentre riguardavo lo special da solo, è contenuta in questa parte). Questo tipo di operazioni generalmente dividono il pubblico (e ancora di più gli e le altr* comedian) tra chi accetta e approva l’emotional stuff e chi invece ritiene che non sia corretto da parte del* performer favorire il sentimento alla comicità. L’ultima parte di questo show, dedicata al padre morente e al rapporto mai davvero sanato con lui, è praticamente priva di momenti divertenti. Quei minuti intensi, dove davvero Brennan riesce a dire cose che ha tenuto dentro per anni, mi ha fatto riflettere: come sapete se leggete questa newsletter, credo che la stand-up comedy debba innanzitutto far ridere, e che quindi una performance il cui obiettivo principale non sia quello fa fatica ad esser inserita in questo genere. Però se non mettiamo l’etichetta di stand-up a quello che ha fatto Brennan (o Hannah Gadsby con Nanette, e altri ancora), come la chiamiamo questa cosa? Monologo teatrale mi sembra troppo generico, perché il grado di abolizione della quarta parete è talmente elevato da marcare un tratto distintivo rispetto ad altre forme teatrali. Ci vorrebbe una definizione più specifica, sempre ammesso che abbia senso incaponirsi sulle definizioni. Brennan li chiamerà stand-up traumedy shows, ma non penso questa distinzione attecchirà mai al di fuori della cerchia dei nerd della comicità.
Aldilà del giudizio che ognun* può farsi, quello su cui ho ragionato durante la visione è che per arrivare a questo tipo di intimità col pubblico ci vuole un’attenzione che non viene mai concessa nei luoghi classici dove si fa stand-up (almeno in Italia): i locali, che ti regalano un’immediatezza meravigliosa, si prestano poco a una narrazione che richiede un raccoglimento speciale. In quei contesti, attizzare la curiosità del pubblico con le battute è una strategia di sopravvivenza. Però credo che si possa rischiare, provare ad alzare il tiro; io ancora non ce l’ho fatta, o comunque meno di quello che mi piacerebbe, ma sono certo che un tentativo vada fatto, tenendo allo stesso tempo salda la barra verso la comicità. Sì, mi piacciono le sfide facili facili.
La sezione “emozionale” prosegue sul lato relazionale e professionale: Brennan ammette che su entrambi i fronti ha passato molto tempo a nascondersi dietro altre persone (le donne con cui stava, o Dave Chappelle); la scelta di salire sul palco e performare i propri monologhi fa parte dunque di un percorso di crescita personale nel quale si è imposto di smetterla di celarsi. E’ un discorso interessante e secondo me 3 mics rappresenta un primo passaggio di questa decisione: dal punto di vista artistico, voler smettere di nascondersi comporta un radicale cambiamento nel proprio modo di esibirsi; non basta metterci la faccia invece che fare l’autore per terzi, perché anche le battute possono essere una forma di barriera da frapporre tra sé e gli altri. In questo senso, le one line e i monologhi classici presenti in questo show sono ancora eseguiti con una maschera, quella del performer, mentre il secondo microfono è un primo profondo avvicinamento a quella nudità che Brennan cerca. Il fatto che si tengano separati questi due momenti significa forse che il comedian non è ancora riuscito a integrare la sua esigenza di “verità” al repertorio. 3 mics è allora un ibrido, una fotografia di un momento di passaggio.
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Prima di passare agli ultimi due special Netflix, nel 2019 arriva la mezz’ora di Brennan all’interno di Comedians of the world, che raccoglie esibizioni di numerosi performer.
Neal parte con un monologo su Trump e poi, mantenendo il centro su temi politici, parla di un suo viaggio in Germania, piena di sensi colpa per il nazismo. “E’ come il nostro Sud, ma loro si vergognano”. Il tema caldo di quel periodo, il MeToo, è una scusa per ragionare ancora su uomini e donne, che personalmente è l’argomento che meno mi piace sentire affrontare da Brennan (rimaniamo sempre su una contrapposizione fittizia e fortemente stereotipata), ma che il comico sa comunque infarcire con una raffica di battute, nel pieno del suo stile (che prevede, purtroppo, anche qualche risatina di troppo di autocompiacimento). “Le donne odiano parti del loro corpo come le persone anziano odiano altre razze”. Il bit ha un finale su come cambiare la percezione del sesso da “dominazione” maschile a potere femminile davvero divertente.
Questa mezz’ora scorre via veloce, leggera, niente a che vedere con le profondità di 3 mics, ma è comunque a un livello di scrittura e acting sconvolgente. Sconvolgente tanto più che Brennan non usa fuochi d’artificio, colpi segreti, follie improvvise. No, fa “solo” il suo dovere di comico. Ma cazzo se lo fa bene.
In Blocks (2022) il comico rinuncia al microfono a filo. Il tema dello show è sentirsi soli al mondo, annuncia subito: “It is good for me. Not drinking and smoking. I know it’s good for me because when I tell people at parties, they say, «Good for you» right before they walk away”. A colpire è la scenografia: dietro di sé ha una sorta di buffo scaffale dove sono appoggiati degli oggetti. Brennan dice che si sente sempre come se stesse sbagliando. Prendendo in mano di volta in volta un oggetto diverso, che rappresenta un aspetto della sua vita, ci spiega in che senso. L’approccio è diverso da quello usato col secondo microfono di 3 mics, perché ora le confidenze su di sé sono mischiate a battute e paragoni comici (questi ultimi in aumento costante nel suo repertorio).
Come sempre, i temi affrontati sono i più disparati. Neal rivela di non si sentirsi a suo agio tra i liberal, pur essendolo, e per dimostrarlo spara un paio di battute su aborto e persone transgender che fanno sobbalzare la platea.
Che si parli di razza, di matrimonio o del difficile contesto famigliare nel quale è cresciuto, Brennan ha una scrittura sempre analitica (sa cogliere i punti essenziali del ragionamento che porta avanti) alla quale si diverte ad applicare ogni volta almeno un joke tagliente, mantenendo però un aplomb che lo distanzia da provocatori nati come Burr o Jefferies. Eppure, sotto l’aria da bravo ragazzo, cova un animo non meno diabolico.
Il bit sulle armi è una meraviglia, perché dopo due minuti di presa in giro dei conservatori NRA-style riesce a problematicizzare anche il punto di vista di sinistra, senza mai dimenticarsi di far ridere. Non si tratta di cerchiobottismo, ma di rivendicare la propria diversità, che come abbiamo detto è il tema centrale dello show. La verità è che se gli chiedessero: “Preferiresti avere ragione o essere felice?” Brennan avrebbe dei dubbi. E infatti felice non lo è.
Più ci avviciniamo al finale, più le parole di Brennan si fanno serie, emerge netta la paura di non riuscire a connettersi emotivamente con le persone, che si accompagna al disagio mentale. Ci sono momenti nei quali, anche dallo schermo del pc, si riesce a percepire la tensione tra il pubblico e la catarsi dell’applauso che più volte gli concedono. Ma questa volta il comedian ha mantenuto le risate lungo tutto il suo racconto. Se il finale, con colpo di scena annesso, è tutto emozionale, in Blocks Brennan ha comunque trovato un modo più equilibrato rispetto a 3 mics di calibrare comicità e condivisione di argomenti delicati.
In Crazy good, uscito quest’anno, il comedian avverte: se state guardando lo show perché avete visto i suoi precedenti special e volete sostenerlo nel suo percorso di guarigione dalla depressione, ha una pessima notizia: sta davvero bene.
La prima impressione che ho avuto non riguarda il contenuto ma la regia: non pare di assistere allo spettacolo di un comedian ultra-affermato, ma a un esibizione buttata lì, registrata senza particolare cura. Non sono un esperto, ma davvero mi ha urtato questa sensazione di approssimazione. Al di là di questo, le riprese sono arricchite da effetti in post produzione, come quando Brennan imita gli influencer e ci appare all’interno di una grafica che simula lo schermo di uno smartphone o quando il comedian si inventa gli spot che una religione potrebbe fare per screditare un altro credo (ebrei contro cristiani, cristiani contro musulmani…) e li vediamo realizzati.
Lo special ha un che di diverso, mi sembra che Brennan abbia un po’ cambiato il suo stile compositivo, che rimane sempre vicino al one liner ma che stavolta si avvale meno di stoccate affilate, per concedersi qualche sbavatura in più (e, devo dire, due o tre joke un po’ troppo preparati). Di certo non ha perso il gusto per passare da un tema all’altro con velocità, dedicando a ciascuno poche frasi e trovando raccordi morbidi per cominciare a parlare d’altro.
Neal critica chi usa la parola “trauma” a sproposito, stando attento a non passare per il vecchio trombone che critica i giovani. Anche perché, come dice lui stesso, le cose vanno meglio ora.
L’intelligenza di Brennan viene confermata con due bit, uno sullo stupro e uno sulle persone transgender, che rappresentano dei rari casi nei quali si è riusciti ad affrontare questi temi senza scadere nel fine a sé stesso, nel finto black humor o nell’umorismo da conservatori. “Ho un’opinione controversa sulle persone transgender. Pronti? Non penso a loro molto. […] Penso alle persone transgender più o meno quanto penso ai filippini mancini”.
Crazy good è uno show in crescendo, con la seconda parte decisamente più forte. Il cuore del monologo è ancora la salute mentale, ma questa volta viene affrontata con toni decisamente più leggeri e non personali, partendo dalla convinzione che gli atleti migliori siano quelli pazzi. Da lì si arriva poi a riflettere sul fatto che moltissime invenzioni sono dovute a psicopatici e drogati. In questo passaggio Brennan è al meglio di sé e propone una scenetta con un Freud cocainomane da annali della comicità.
Molta della nostra cultura, conclude, è fatta da psicopatici e drogati, basti pensare alla musica. E sì, anche la stand-up (non a caso, nei credits finali il performer ringrazia l’Ayahuasca e l’MDMA). La spiegazione che dà a questo fenomeno ve la lascio scoprire, se non avete ancora visto Crazy good. Ma grazie a quel motivo Brennan torna a parlare di sé, dei suoi problemi, che in questo show però non costituiscono un fardello, ma una sua caratteristica. Forse davvero, come ci aveva detto all’inizio, sta bene. O forse, semplicemente, stavolta voleva parlare d’altro.
Il fascino di Brennan in fondo è proprio questo: che non si riesce a incasellare; è uno dei comici che parla di più di depressione e terapie ma non è etichettabile come il comico della salute mentale; è certamente un liberal ma in scena non fa né il satiro politico né il provocatore; ha la capacità di rompere gli schemi della stand-up ma spesso propone monologhi ultra-classici; non ci sono mai momenti brutti ma non genera quella passione viscerale che altri suoi colleghi più imperfetti suscitano. Fatto sta che non vedo l’ora del suo prossimo show.
Segnalazioni
Verità, vulnerabilità, essere sé stesi, autenticità: cosa significano questi concetti nell'a stand-up comedy? Qualche risposta in questo lungo articolo di Vulture, che vi consiglio moltissimo.
Una breve intervista a Diego Abatantuono dedicata alla scena comica milanese nella quale è cresciuto.
Un ritratto di Andy Kaufman, a quarant’anni dalla sua morte.
L’angolo autoreferenziale
Sabato 8 e domenica 9 giugno terrò un workshop di stand-up comedy al Circolo Agorà di Cusano Milanino. I e le partecipanti avranno la possibilità di esibirsi in apertura allo show di Giordano Folla la sera di domenica. Tutte le info nelle immagini qui sotto.
Dove vedermi live
Ecco le prossime date del mio one man show:
Stasera (19 maggio) sono al Tical di Sassari (in apertura Sisifo), grazie a Albert Canepa e Stand-up Comedy Sardegna.
Martedì 21 maggio mi trovate all’A.M.E.N. di Verona, in una serata organizzata da Schersito.
Mercoledì 22 maggio sono all’Uva Viva di Melegnano, con apertura di Nando Prati.
Giovedì 13 giugno lo porto a Cascina Cotica, thanks to BeComedy.
Venerdì 14 giugno va in scena all’Arco Bar di Lecco, evento realizzato con Elena Lo Muzio, che aprirà le danze.
Sabato 25 maggio faccio mezz’ora alla Cascina Dionigi di Lu Monferrato; assieme a me Richi Selva e Elisa Opezzo, che ringrazio per l’invito.
Martedì 28 maggio torno all’Osteria Democratica di Milano per 25 minuti tratti dal mio nuovo show.
Venerdì 31 maggio provo un pezzo all’open mic del Circolo San Luis, sempre a Milano.
Domenica 2 giugno partecipo con molta gioia ad una maratona di stand-up comedy indetta da Daniele Raco al Che Festival di Genova. Si tratta di un’iniziativa benefica a sostegno di Music For Peace.
Tutto Sotto Controllo, il game comedy show di improvvisazione con me, Davide Spadolà, Patrizia Emma Scialpi e Nando Prati torna venerdì 24 maggio al Mimir Bar di Castiglione Olona (special guest Patrizio Villajuan).
Sarà poi nella programmazione del Fringe Mi, in scena il 4 e il 5 giugno al Dopotutto, con due ospiti speciali (uno a serata): Davide Calgaro e Antonio Ricatti.
Il video alla fine
Devo a Silvia Clò la scoperta (tardiva) di questo brano di Niccolò Contessa e i VazzaNikki. Devo dire altro?
Avete detto ferie? Too soon.