Quattro chiacchiere sulla ripartenza con John Vincent
Complici la buona stagione e la campagna vaccinale, l’estate 2021 sta conoscendo un proliferare di serate di stand-up. Dopo mesi di lockdown e simili, è bene specificare: serate dal vivo.
L’esplosione della comicità in piedi in Italia si era ibernata al cospetto di una pandemia mondiale che nel nostro paese come altrove aveva mietuto diverse vittime tra locali e pub, ovvero i luoghi di naturale fioritura di questo genere di intrattenimento. Come ci eravamo detti in una vecchia puntata di Tendenza Groucho, i comedian non si sono persi d’animo ed hanno realizzato varie forme di show online. E’ comunque difficile pensare che uno stop così lungo e traumatico non lasci segni, e probabilmente è ancora presto per capire gli effetti profondi di quanto è successo sul divenire della stand-up tricolore. Resta però il fatto che, non appena è stato possibile, gli open mic hanno ripreso a spuntare come funghi e sono partite diverse rassegne estive. In attesa di capire come evolverà la situazione coronavirus in autunno-inverno, e di conseguenza scoprire se questa ripartenza sarà più che effimera, fa piacere constatare che di voglia di far ridere (e di ridere) ce n’è ancora parecchia.
Ne ho voluto parlare con John Vincent, per svariati motivi. Perché è un mio sodale nei Comici in Cantina, perché è da sempre molto attento al panorama comico italiano, perché è uno dei principali fautori delle rassegne all’Arci Turro e quindi possiede anche l’occhio dell’organizzatore. E perché ha uno sguardo colmo di un ottimismo insolito che offre punti di vista originali sul presente della stand-up e insinua in chi lo ascolta ciò che spesso è mancato in questi tempi: un po’ di speranza per il futuro.
Mi ci ritrovo nelle sue parole. Ad esempio, concordo nel ritenere l’esperienza virtuale dei Comici in Quarantena molto utile e interessante. I primi esperimenti via Zoom non ci avevano convinto del tutto, e presto abbiamo compreso il perchè: replicare i nostri pezzi tali e quali a come li facevamo sul palco non funzionava, era tutto più freddo e meccanico, due aggettivi che non dovrebbero mai essere associati alla stand-up. Allora ci siamo interrogati su come presentare spettacoli accattivanti e consoni alla virtualità senza perdere le nostre peculiarità. Ne è venuta fuori una formula ibrida, che alternava brevi monologhi a giochi, interazioni col pubblico, improvvisazioni, in un clima di “cazzeggio controllato” che restituiva freschezza alla serata, col risultato di coinvolgere molto di più il pubblico e, attraverso la continuità e il rivolgersi direttamente e precisamente a ciascuno degli utenti collegati valicando lo schermo del pc, creare complicità tra comici e spettatori rare nei locali.
John, tra l’altro, già prima del coronavirus aveva intrapreso uno studio del crowd work davvero notevole, e rivederlo sul palco ha confermato l’impressione che in questo campo abbia raggiunto livelli ammirevoli. Il suo stile anarchico ed estroverso si presta benissimo al colloquio costante e folle che imbastisce col pubblico.
Insomma, tra i tanti difetti degli Zoom show, un aspetto positivo che anche io mi sono poi portato dietro nelle performance live è stato l’allenamento all’interazione con la platea. Mediato da un computer o in presenza, il “qui e ora” è diventato l’elemento essenziale della mia comicità e il motivo per cui tra tutte le forme d’arte preferisco la stand-up, come una droga che una volta provata ti fa scordare tutte le altre.
John, da quando non ti esibivi dal vivo?
Dipende cosa si considera “dal vivo”, perché se si intende dal vivo ma da casa in remoto non ho mai smesso. Grazie ai miei colleghi di Comici in Cantina, abbiamo implementato i “Comici in Quarantena”, che ci ha permesso di tenerci allenati – seppure con tutti i limiti del caso – e di sperimentare nuove forme di comicità. Se invece per “dal vivo” si intende fisicamente su un palco, Milano si riprendeva ogni volta che si allentavano le restrizioni – anche con formule come lo spettacolo pomeridiano. Fondamentalmente, non mi sembra di aver mai smesso di esibirmi, anche nei momenti di chiusura più stretta. Tuttavia, ho ripreso a calcare un palco fisico (dopo il secondo lockdown) a maggio; forse la prima nuova esibizione fisica è stata l’open mic al Leoncavallo il 2 maggio.
Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando sei risalito sul palco?
Quello che ho notato più di ogni altra cosa era come mi sentivo di nuovo a mio agio, e non solo: mi sentivo anche più preciso, più efficace, con una maggiore consapevolezza dei miei movimenti e delle mie intenzioni. Credo paradossalmente di essere migliorato con le esibizioni in remoto, perché mi costringevano a limitare i movimenti e mi davano una maggiore coscienza di quello che funzionava e quello che no. Quando fai una battuta in remoto devi attendere leggermente più a lungo per la risposta, perché i tempi di percorrenza della trasmissione sono di un secondo più lenti, quindi mi dovevo fermare dopo ogni battuta e aspettare trepidante la risata o la sua assenza. Questo ha costretto ogni singola battuta a diventare “essenziale”, e anche i fallimenti colpivano più a fondo. Trovo che l’esperienza abbia quindi migliorato i miei tempi comici (e permesso di lavorare più a fondo su quelli, spesso ignorati, dell’attesa post battuta) e che io sia uscito dal lockdown un comico migliore di quello che ero prima.
Qual è stata la cosa più difficile? E quale quella più facile?
Non ho sentito particolari difficoltà, e anzi vedere questi nuovi pubblici folti e contenti di lasciarsi andare di nuovo a ridere (spesso anche di più di prima), mi ha fatto da subito sentire di nuovo nel mio elemento.
Com'è stata l'accoglienza del pubblico?
Sono stati fantastici. Come ho accennato, sembra che ci sia più pubblico ora rispetto a prima – forse semplicemente perché c’è più voglia di uscire. E sono spettatori generosi! Ridono tantissimo, più di quanto mi ricordassi. Forse perché hanno più bisogno di ridere, forse perché sono migliorato io, o forse perché dopo tanto tempo a sentire le risate separate nelle finestrelle Zoom non mi ricordavo più il suono di una risata vera. Adesso bisogna vedere se questo entusiasmo tiene.
Come hai visto i vari comici che hanno ricominciato a esibirsi? Come li hai trovati?
Mi sarei aspettato di vederli un po’ arrugginiti, e invece sembra che non sia passato un giorno. Quelli che frequento di più, e coi quali ho fatto spettacoli in remoto, li ho trovati anche più bravi (stessa impressione che ho su me stesso, peraltro). Insomma, tra la tanta gente che viene a vedere le serate, il pubblico che ride più volentieri e l’allenamento “in condizioni difficili” che abbiamo fatto durante il lockdown non diresti nemmeno che ci sia stata una pausa in mezzo.
Dal punto di vista dell'organizzatore di eventi, cosa ha comportato questo lungo stop forzato?
Questa è stata la cosa più interessante. Ha insegnato l’importanza dei social media, e di come un comico ormai non possa neanche lontanamente sognare di vivere fuori da una qualche rete social. Alcuni comici hanno saputo migliorare la propria visibilità sfruttando questa o quell’altra piattaforma. C’è chi ha trovato un nuovo fanbase giovane su TikTok, chi ha iniziato podcast di successo, chi è diventato Youtuber. Conosco persone che prima del lockdown erano sconosciute e ora sono influencer veri e propri, con sponsorizzazioni addirittura. Dal canto mio, ho preso a organizzare gli show su Zoom e così facendo sono riuscito a raggiungere nuovi fan che, lontani da Milano, non avrebbero mai avuto modo di conoscere me e gli altri colleghi di Comici in Cantina. Abbiamo tutti imparato a usare la pluralità di new media che abbiamo a disposizione (e che non si limita più al solo Facebook, anzi, tra tutte le piattaforme quella di Zuckerberg sembra essere ormai la meno interessante).
Qual è la situazione dei locali? Che atmosfera si respira?
A Milano abbiamo la fortuna di aver creato una rete di fiducia reciproca con i proprietari dei locali, che hanno voluto rischiare e portare la stand-up di nuovo sui palchi appena è stato possibile. Non posso che ringraziarli, perché anche dopo le mille difficoltà che hanno dovuto affrontare in questo periodo non si sono mai dimenticati di noi e continuano a darci supporto. A volte sembra che siano fan prima ancora che proprietari!
Qual è il tuo obiettivo a breve termine come organizzatore? E a lungo termine?
Sul breve termine vorrei collaborare con gli altri organizzatori e creare un’offerta continua di nuova comicità nel milanese. Questo significa far crescere l’offerta fino ad avere almeno uno spettacolo comico a sera attivo da qualche parte nella città. Sembra una follia, ma la stand-up anglosassone – che da sempre ci è da esempio – ha raggiunto alti livelli di qualità e successo proprio in questa maniera: potevi girare come comico a Londra ed esibirti almeno una volta a sera (quando non due), e un’esperienza del genere ti formava tantissimo. Non a caso, quelle volte che ho parlato con comici americani al riguardo, la loro prima domanda è sempre “Quanto spesso ti esibisci?” e se è meno di quattro volte alla settimana per loro non basta nemmeno un po’.
Sul lungo termine invece vorrei vedere a Milano più spettacoli internazionali in lingua inglese, non solo serate in cui i comici italiani si esibiscono in inglese e nemmeno solo quelle con comici madrelingua, ma proprio vedere una maggiore internazionalità di comici di ogni cultura che usano l’inglese come lingua comica comune, e dunque inserire Milano nella rete delle città comiche europee dove chiunque sia di passaggio (anche non conosciuto) possa trovare dove esibirsi, al di là delle proprie origini. Sono convinto che Milano abbia un’enorme potenzialità da questo punto di vista.
La pandemia ha portato qualcosa di positivo, o è stata solo un'enorme catastrofe?
Alcuni comici non milanesi ridono quando vengono da noi e parlano con me, perché sono così positivo! La realtà però è innegabile, nonostante la pandemia (o forse a causa di essa) siamo migliorati come performer, siamo diventati più presenti sui social, il pubblico sa più che mai cosa sia la stand-up comedy e quali siano i suoi linguaggi, ci sono tantissimi giovani che vogliono provare per la prima volta, e c’è anche l’idea che tutto questo sia l’inizio di qualcosa ancora più grande. Direi che c’è una stand-up comedy pre-pandemica e una post-pandemica, e che (nonostante le enormi difficoltà che tutti noi continuiamo ad affrontare, e le delusioni che comunque continuano a esserci) tutto sommato “ne siamo usciti migliori” davvero, almeno noi.
Tempo fa mi hai detto che secondo te la stand-up comedy in Italia sta per entrare in un momento di grande espansione, non solo dal vivo. Confermi questa impressione?
Decisamente. Non solo la stand-up direi (che comunque ritengo un linguaggio proprio, con delle forme che la differenziano da altri generi) ma la comicità tutta. Il successo di LOL (che vedremo rinnovarsi sempre di più nelle prossime edizioni) è un esempio su tutti, in quanto ha saputo mettere d’accordo i fan di vari generi comici, e mostrare come in fondo possano convivere tutti e ognuno trovare il proprio pubblico. Chiaramente, per quanto noi possiamo fare il nostro sui palchi fisici e sui social media, la vera esplosione avrà bisogno dei mass media e delle grosse reti, e vedo già l’interesse che c’è in questa direzione. La pandemia ha forse rallentato un po’ i tempi, ma il boom è inevitabile. C’è troppo talento in giro ormai, e il pubblico è pronto. Stiamo per vivere una nuova età dell’oro per la comicità italiana. Prevedo non solo l’espansione, ma anche che tra cinquant’anni, quando sarà tutto passato, i “comici degli anni venti” saranno assunti come simbolo (dagli Zoomer, ormai Boomer a loro volta) di come “la comicità di una volta, quella sì che faceva ridere”.
L’angolo autoreferenziale
Lunedì 21 giugno sarò intervistato nella trasmissione Happy Ending in onda su Radio Busto Live, dalle 19 a questo indirizzo.
Dove vedermi live
Unico lato negativo del ritorno di decine di serate… è che io non me le posso godere. Sto girando sì l’Italia in tour, ma non da comico. Lavoro infatti per una compagnia di teatro-circo, però non come artista, non pensatemi vestito da domatore con la frusta. Quello è quando faccio sesso.
Segnalazioni
Ho scoperto La fuga del cavallo morto, romanzo breve di Gianfranco Manfredi. Scritto nel 1993 e ambientato in quel mitico inizio di decennio, col suo protagonista (il comedian vecchio stile Antonio Zeppa) offre uno spaccato non approfondito ma di piacevole lettura dell'ambiente comico di quegli anni, tra i locali e quell’Eden agognato che allora era la tv.
Di Hannah Gadbsy ho accennato in questa puntata della newsletter. Da pochi giorni è uscita la notizia che il suo nuovo show farà tappa anche in Italia, al Teatro Nuovo di Milano che aveva già ospitato Louis C.K. due anni fa.
Tra i locali colpiti dalla pandemia c’è anche il Nemiex, stupenda tana milanese di nerd che per lungo tempo ha dato spazio anche alla stand-up prima di chiudere causa coronavirus. Ora sta tornando, ed è partita la campagna tesseramento, alla quale si può aderire qui.
Il video alla fine
Con un titolo così, non poteva non attirarmi. Lei è Rachel Sennott, in tutta la sua veracità.
Tendenza Groucho torna a luglio. Buona estate!