Situazione sentimentale: relazione complicata
Da quando faccio stand-up una delle cose che cerco sempre di migliorare è il rapporto col pubblico: “sentirlo”, reagire agli stimoli che arrivano dalla platea, improvvisare in maniera comica su quando sta accadendo in sala. Anche quando succede l’imponderabile.
Da buon comico iper-autocritico, quasi mai sono soddisfatto di quello che riesco a fare, però rimango convinto che una caratteristica indispensabile, non dico di tutti, ma del comedian che io voglio diventare sia l’eliminazione di quanti più brandelli possibili di quarta parete.
Tutto ciò per dire che anche questa newsletter sulla stand-up comedy voglio che sia aperta alla reazioni del pubblico. La precedente puntata ha ricevuto un paio di commenti che in sostanza dicevano che i suoi contenuti non fossero particolarmente originali, che riportassi cose che chi segue “il giro” già sa.
Non mi ero in effetti posto il problema di chi siano i lettori di Tendenza Groucho: comici già esperti? Nerd della comicità? Ignari avventori curiosi di avvicinarsi a questo mondo? La Digos?
Ovviamente il taglio da dare cambia a seconda del target a cui voglio rivolgermi. E qui torniamo alla stand-up: anche l’esibizione live deve essere tarata su chi ti sta davanti. Attenzione: non nel senso che devi mutare il tuo repertorio (passando dai pezzi sullo stupro ai pezzi sulla suocera rompiballe), ma nel senso che non puoi andare in scena col paraocchi. Chi ti sta davanti è una parte determinante dello show e, se vuoi ottenere il massimo dalla tua performance, devi saper gestire i tuoi pezzi nel modo più giusto possibile per quella specifica situazione. Ma cosa significa in concreto “saper gestire i tuoi pezzi”? Non lo so. Non credo ci sia una formula. Sicuramente l’esperienza ti aiuta a far tuoi alcuni trucchi del mestiere, utili quando ti accorgi di star perdendo il pubblico: capire che ritmo tenere, quando accelerare per superare un incaglio, se abbandonare il testo a memoria e buttarla in caciara… ma è tutto molto sfumato.
La stand-up è una delle forme artistiche dal riscontro più immediato: se dopo una battuta nessuno ride, quel silenzio è assordante. Di fronte a quel silenzio, bisogna avere una grande capacità analitica per capirne il motivo: la battuta può essere scritta male, può essere stata detta male, può semplicemente non contenere un’idea così divertente come sembrava nella propria cameretta, ma c’è anche il caso che quella sera non ci fosse il pubblico giusto. E anche qui dovremmo aprire un capitolo enorme: tendenzialmente, non mi piacciono i comici che incolpano il pubblico. Spesso è un’alibi. Uno scudo rassicurante per non mettersi in discussione. A volte però è vero che, nonostante tutti gli sforzi e la qualità, il pubblico non apprezzi, perché è distratto, perché non entra in sintonia, perché i temi trattati non sono di suo piacimento, perché “quel comico dice troppe parolacce”, ecc. La capacità analitica di cui parlo serve a discernere in quale situazione ci si trovi: se si sono fatti errori bisogna provare a rimediare, se il fiasco non dipende da noi bisogna farsene una ragione e passare oltre.
Ma proprio perché la performance è un unicum che ha luogo in quell’istante e poi sparisce, il solo momento per poterla raddrizzare è quello in cui avviene. Immaginate la difficoltà di salire su un palco preparati per fare un certo monologo e capire che qualcosa non va: riuscire a cambiare rotta è tremendamente difficile perché va fatto “in diretta”, lì per lì, con decine di occhi che ti guardano e si aspettano che tu sia divertente. Credo che il comico debba viaggiare sempre su un doppio binario: durante l’esibizione deve provarle tutte per entrare in connessione col pubblico, arrivando anche a fare cose che magari a mente fredda non approverebbe; nel live vale tutto. Sul lungo periodo, invece, deve portare avanti la propria idea di comicità, lottando affinché essa possa esprimersi senza dover piegarsi a compromissioni. Ciò implica anche il saper scegliere i contesti dove esibirsi. Il gruppo metal in parrocchia avrà difficoltà, forse è meglio che vada al pub. È vero però che, soprattutto all'inizio della carriera, scegliere è più difficile, si tende a prendere ogni opportunità di salire sul palco e non si è sempre nelle condizioni di poter stabilire in quali contesti andare in scena. Insomma, non esistono strade facili, bisogna sporcarsi le mani.
Qualche tempo fa, sul gruppo Facebook della Bill Hicks Italian Community, è stato rilanciato un video che raduna tutti i momenti di sbrocco che il grande comico americano ha avuto durante una serata a Chicago nel 1989. Ogni volta che lo riguardo, c’è qualcosa che mi infastidisce, nonostante l’ammirazione che nutro per Hicks. Sapere che i vari spezzoni non sono avvenuti uno dopo l’altro ma all’interno di un più corposo show nel quale lui ha cercato comunque di portare a termine la serata e che quella performance arrivava dopo altri due spettacoli la stessa sera e quindi fosse comprensibilmente stanco attenuta quella sensazione, ma ciò che ritengo ancora valido del primo impatto è l’insofferenza verso un artista che, nei momenti peggiori, si limita a insultare gli spettatori molesti. Umanamente comprensibile (quanto cazzo erano rompicoglioni quei tizi?) ma non vorrei che quelle sfuriate passassero come come momento da celebrare (“Senti che figo Hicks, guarda come li ha insultati!”). Al contrario, mi sembra un cedimento: da una parte rivendichi la peculiarità di quello che stai facendo come forma di espressione libera e di profonda connessione con le persone che costituiscono il tuo auditorio, dall’altra ti offendi se quelle persone non stanno zitte e composte ma hanno reazioni vere (diventando moleste, certo, ma la realtà è molesta).
La contraddizione che imputo a Hicks però me la ritrovo nella mia stessa critica: da una parte lo accuso di non aver accettato fino in fondo la natura della stand-up che presuppone che tutti (pubblico e artista) siano sé stessi, dall’altra gli contesto di non aver saputo mantenere il controllo della situazione, di essere stato troppo sé stesso. E’ un equilibrio veramente delicato, tra la realtà e la finzione, tra l’istinto e il controllo, tra la spontaneità e la preparazione, e penso che buona parte del fascino della stand-up comedy stia tutto lì: nel camminare su quella linea sottile.
Sugli hecklers (i disturbatori) bisognerebbe forse aprire un capitolo a parte. Mi limito a questa considerazione: il rapporto tra comico e pubblico cambia anche a seconda della modalità di fruizione dello spettacolo. Se sono seduto in un locale e inaspettatamente scopro che a pochi metri da me ci sarà un tizio che parlerà un’ora al microfono, il tutto sarà regolato da una certa informalità dovuta alla casualità dell’incontro. Scambi e interruzioni saranno all’ordine del giorno. Ma se ho pagato un biglietto per vedere il comedian, che senso ha disturbarlo?
Questa differenza, tra l’altro è uno dei motivi per cui vedere lo show di uno sconosciuto ha una dimensione più intima e, in qualche modo, più vera rispetto all'atmosfera che si respira durante gli spettacoli delle star, dove gli applausi partono in automatico prima ancora che il comico abbia aperto bocca e il pubblico sa già cosa aspettarsi ed anzi ha pagato per vedere quello che si aspetta di vedere. L’essenza della stand-up comedy verrebbe quindi distorta dal successo? E’ un tema interessante, ma teniamolo per una delle prossime puntate.
E Tendenza Groucho, come reagisce agli input dell’audience? Proverò a non snaturare quello che volevo fare e allo stesso tempo ad entrare in maggiore sintonia col pubblico. In risposta ai commenti ricevuti mi sento di dire questo: manterrò un tono divulgativo ma cercherò di inserire qua e là considerazioni più personali, qualche azzardo, qualcosa di meno mainstream. Poi, se non ci riesco, scenderò dal palco borbottando: “Il pubblico non mi capisce perché sono un genio!”.
L’angolo autoreferenziale
Sono ripresi gli show su Zoom dei Comici in Cantina, dei quali mi fregio di far parte. Il primo è andato online martedì 17 novembre, per gli episodi futuri fate riferimento ai profili Facebook, Instagram e Telegram. Ci saranno novità.
Dove vedermi live
A casa mia, grazie lockdown.
Segnalazioni
Comedybay (ve ne ho già parlato) racconta la storia di una serata comica disastrosa nei pressi di Philadelphia, quando Bill Burr perse le staffe. Come Hicks nel video citato sopra, si produsse in una sequela interminabile di insulti nei confronti di spettatori fischianti. Dodici minuti che tradiscono un certo snobismo: se il pubblico non è come ti aspetti, è perché è ignorante e conduce una vita patetica rispetto a te che sei libero dai lacci imposti dalla società.
La relazione tra comico e audience vive sempre nel bilanciamento di odi et amo. A volte prevale nettamente il primo polo.Ventisei minuti di analisi sul rapporto tra comico e pubblico negli spettacoli di Stewart Lee? Ma certo!
Sul suo canale Youtube, Max Angioni ha inaugurato una serie di video dedicati alla comicità, affrontata in maniera divertente da chi la vive dall’interno: si intitola Comicitag e il primo episodio ha un titolo sobrio, I “comedy special” di Netflix son il male.
Il video alla fine
Tra i vari modi coi quali un comico può provare a “connettersi” col pubblico, c’è il cosiddetto crowd work, ovvero rivolgersi direttamente agli spettatori senza un copione pre-impostato ed anzi lasciando che le risposte guidino la conversazione.
Sicuramente vi state chiedendo com’è il crowd work in India. Così:
Commentate, divulgate, iscrivetevi! E fate i bravi, fino al prossimo diciannove del mese, quando tornerà Tendenza Groucho. Ciao!
Per quanto riguarda lo sclero "alla Bill Hicks" credo che molto sia anche dato dalla notorietà che aveva Hicks a quel tempo, cosa che gli permetteva di andare avanti con una sequela di "maleparole" perché faceva tutto parte del personaggio. Inoltre negli esempi riportati si scontrava con una persona alla volta, che magari stava disturbando non solo lui ma anche tutto il resto del pubblico, che ovviamente era venuto lì a vederlo e che certo non concordava sul parere della donna ubriaca dei primi minuti o del signore che voleva la routine a comando.
Secondo me quando sei Bill Hicks queste cose puoi assolutamente permettertele. Sia perché chi ti viene a vedere sa che non gliele mandi a dire, sia perché sai che lo spettacolo è anche fatto dal carattere dell'interprete.
Per quanto riguarda il crowd work invece, sebbene non apprezzi il genere, c'è da vedere anche il lavoro che fa Stefano Rapone (lo trovate online sul suo canale youtube)