Vien da sé
Oggi, come ogni 19 agosto, Tendenza Groucho compie gli anni. Siamo arrivati a quattro. Negli anniversari la retorica è sempre in agguato, ma la retorica è nemica della comicità. Facciamo allora che mi limito a dirvi che sono molto felice di questa newsletter e del fatto che qualcuno la legga e la trovi interessante. Ora riponiamo i violini, e iniziamo.
Sostiene Fill Pill
Fill Pill, noto a molti come il Divulgatore Coatto, è uno strano caso ibrido di creator e comico. Strano, nel senso che, pur mantenendo un taglio riconoscibile in entrambi i lavori (ai quali si potrebbe aggiungere anche quello di musicista, nei Fil e il Nichilismo Selvaggio), applica in realtà due stili e linguaggi differenti quando si tratta di realizzare video dedicati alla sostenibilità ambientale e quando invece deve calcare i palchi della stand-up comedy. Incuriosito da questo doppio binario, nel quale la comicità ha ruoli importanti ma diversi a seconda del contesto, gli ho fatto qualche domanda per capire meglio se c’è e dov’è il confine tra dire cose serie in maniera divertente e dire cose divertenti in maniera seria.
Partiamo dal tuo lavoro come Divulgatore Coatto. Come nasce?
Nasce dal fatto che la sostenibilità nella mia vita c’è sempre stata, da quando ero bambino, perché mio nonno mi ha cominciato ad introdurre nel mondo della botanica, mi portava a funghi a tre anni… poi i miei genitori mi hanno regalato manuali di anatomia comparata e animali da quando ero piccolo, quindi mi è scattata la passione per l’ambiente perché, pure se loro non erano naturalisti, volevano un figlio colto, forse volendo monetizzare questa cosa, tentativo chiaramente non riuscito. E quindi ho sempre avuto passione, penso che nella mia vita avrei dovuto fare zoologia, poi alla fine ho fatto un percorso accademico diverso ma sono riuscito comunque a occuparmi di sostenibilità laureandomi in giurisprudenza con specializzazione in diritto internazionale, ambientale e del mare e facendo poi un master in sostenibilità e gestione di risorse energetiche; nel mezzo avevo anche la mia associazione, Castelli in Green, che si occupava di gestione ambientale. Quindi ho sviluppato un po’ di competenze negli anni, ho lavorato come pescatore, ho lavorato in mezzo al mare nella gestione delle risorse oceaniche, ho lavorato con le rinnovabili, ho fatto il consulente di sostenibilità fino a quando poi, sei mesi fa, il lavoro di divulgatore e comico è diventato a tempo pieno e sono riuscito ad occuparmi come volevo di sostenibilità, più come editorialista e comunicatore che come schiavo aziendale, dove magari fai anche meno. Insomma: c’era l’esigenza di parlare di quello che per me è sempre stato importante prima che diventasse un trend topic, cioè la tutela dell'ambiente, eccetera, in una maniera mia, per questo “coatto”, una maniera che potesse parlare anche al popolo, che non fosse una cosa elitaria, esclusiva, escludente, come spesso buona parte dell’attivismo, più che della divulgazione, è.
Mi racconti il passaggio dai primi video alle collaborazioni con agenzie e enti?
I tempi in cui facevo le cose senza agenzia ho fatto per anni video sparsi, però senza una grande disciplina… Ho iniziato su YouTube, però ho avuto varie fasi, perché c’è stata una prima fase che era un po’ svincolata dalla parte ambientale, ci mettevo video comici che tendenzialmente utilizzavo più all’interno del gruppo musicale; infatti ad esempio il video che andò virale su YouTube, quello in cui faccio i dialetti d’Italia, che è quello che poi, tutto rifatto, faccio nello spettacolo, era nato con l’intento di promuovere il nostro tour musicale; facevamo tutto quanto un tour che era quasi un monologo di musicologia comica su tutte le varie forme di musica popolare italiana, partendo dai dialetti e poi scendendo nella musica.
Poi a un certo punto, un anno e mezzo fa, ho cominciato a darmi una disciplina, soprattutto lato Instagram e TikTok, quindi su video di formato breve per cercare di sbarcare un po’ di più il lunario con quello, aumentando le collaborazioni. Mi sono dato una disciplina fino a che è aumentato il traffico, è aumentato l’interesse e da lì sono arrivati più soggetti, come il Parco Nazionale d'Abruzzo, varie realtà che si sono interessate. A questo aggiungi il fatto che ho cominciato ad essere un po’ più conosciuto nella stand-up, anche per le prime cose che ho fatto con Comedy Central, da un pubblico diverso da quello che viene nei live. Si sono unite tante cose, tante collaborazioni, tanti clienti, ed è diventata una cosa che mi permetteva di stare meglio; insomma, si sono uniti i puntini finanziariamente parlando e si è creata quella condizione che mi ha fatto dire: “Ok, è il momento di fare il salto”.
La collaborazione con un’agenzia per la parte divulgativa è nata piano piano, cominciando a pubblicare tante cose, ad attirare l’attenzione, finché si è creato un rapporto che poi è diventato proprio un rapporto di lavoro. Adesso sono seguito da The Comedy Club sia per la parte comica che per la parte divulgativa; è stato un venirsi incontro: con Vincenzo De Luca Bossa (cofondatore e CEO di The Comedy Club, ndr) ci siamo conosciuti al Comedy Village, lui mi ha visto là per la prima volta dopo Comedy Central, poi mi ha scritto per farmi i complimenti per il tour, si è creato un contatto con le prime date dei Locura e a un certo punto gli ho chiesto se si poteva fare un passo ulteriore; quindi è stato mutuale, diciamo.
Raccontami come funziona: come scegli l’argomento di cui parlare in un video? In caso di collaborazioni, quanto margine di libertà hai? Quanto ci metti a prepararti sul tema, a scrivere il video e a realizzarlo? Fai tutto da solo?
L'argomento di cui parlare nel video, se è un video che faccio per conto mio, lo decido io in base a quello che credo sia importante, magari qualcosa sulla quale c’è tanta ignoranza a livello popolare e che ha bisogno di essere spiegata senza prendere una parte o l'altra ma dando valore al tema. Con i clienti, quindi parchi nazionali, aziende con cui lavoro (pochissime), media… si va a scegliere un argomento che possa essere di interesse sia per me che per loro e lo si affronta partendo da uno spunto specifico che in buona parte dei casi propongo io; però se c’è una proposta da parte loro cerco di andare incontro, in base a quelle che sono le mie competenze.
La preparazione al tema è la parte più lunga perché di base ho la mania, l’ossessione di fare le cose in maniera perfetta, cioè di essere corretto scientificamente parlando e questo necessita un sacco di tempo. Poi è chiaro che sfrutto tantissime cose che fanno parte dei miei studi precedenti, e questo fa sì che abbia una base sulla maggior parte delle cose; se non ce l’ho mi faccio magari aiutare da altri esperti, da tutto il nucleo dei divulgatori e ricercatori che ho intorno a me, conosciuti in questi anni tramite questo lavoro e il precedente. A volte, per alcune cose, sono stati anche pagati degli autori, però generalmente faccio tutto io, partendo dalle mie conoscenze. Stiamo parlando del formato breve, perché sul lungo già è diverso, per YouTube, eccetera. Quindi non è che posso dedicare una settimana alla preparazione ma comunque una giornata e mezza tra ricerca, scrittura, eccetera, ci può stare tranquillamente per un video di un minuto e mezzo.
A girare e montare i video, quelli lunghi di YouTube, ci potevo mettere pure una settimana; due, tre giorni sicuri. Invece adesso con la parte Instagram, reel e tutto quanto, il montaggio mi impegna raramente più di due ore e mezza. A girare i video dipende, mi prende pure cinque o sei ore.
Quanta importanza ha per te la comicità nei contenuti che crei? E quanto pensi ne abbia in termini di successo di un video?
La comicità ha tanta importanza: io a un certo punto ho smesso di fare quello che facevo nel lavoro aziendale e ho diminuito la mia “tensione attivistica” di quando ero più piccolo perché sentivo che quella cosa la stavo forzando e ti porta ad avere la Sindrome di Atlante, a sentire il peso del mondo sulle tue spalle. Invece c'è tutta una parte mia che è sempre stata più “leggera”: sono stato per 10 anni in un gruppo "“musico-teatrale”, nel quale ho sempre fatto monologhi comici; lo faccio da quando sono piccolo, ho iniziato con le imitazioni. Negli anni questa cosa si è tradotta nella stand-up. Quindi per me il fatto di parlare di cose serie senza prendersi troppo sul serio è fondamentale. Poi è chiaro che il linguaggio che porto sul palco della stand-up è diverso rispetto a quello divulgativo, perché se fossero la stessa cosa non funzionerebbe, soprattutto sarebbe sbagliato fossero uguali.
Credo che questa cosa abbia successo perché tendenzialmente se parli delle questioni ambientali con un linguaggio catastrofista, anche se giustificato, alieni le persone, mentre il fatto di riuscire a trovare della leggerezza in cose anche molto impegnate, secondo me, aiuta ad avvicinare le persone. Io non l’ho fatto mai con una strategia, con l’intento di utilizzare la comicità come strumento manipolatorio: l’ho fatto perché quello era il linguaggio mio, perché questo sono io.
Passiamo alla stand-up. Quando nasce il tuo interesse verso quest'arte?
Nasce dall’unione di tante cose: la passione del teatro comico in tutte le sue declinazioni, la passione per la commedia, da Sacha Baron Cohen a Dario Fo… Cioè, io non sono mai stato un purista di un genere rispetto a un altro. È sempre stata un’unione dal mondo del cabaret di qualità a quello della stand-up americana. Negli anni ho fatto comicità musicale, poi un po’ a teatro, e aggiungici che da quando ero piccolo mi hanno sempre messo su un palco. Questo, unito a un’esigenza comunicativa un po’ più dura, un po’ più di riflessione, ha fatto sì che queste cose confluissero nel linguaggio della stand-up e quindi ho avuto questo rinascimento tre anni fa, due anni e mezzo fa: cazzo, ma forse questo è il linguaggio mio. E quando ho cominciato a esibirmi mi sono detto: cazzo, mi sento benissimo. Come in nessuna cosa che ho fatto finora. Ho visto i primi riconoscimenti e questo mi ha dato fiducia nel cominciare a utilizzare quel tipo di linguaggio per farlo diventare una professione.
Nei tuoi spettacoli usi sempre un linguaggio ricercato e provi a trattare temi originali rispetto alla media degli show in circolazione. È una scelta voluta? Come nascono i tuoi pezzi?
Utilizzo un linguaggio ricercato ma senza forzarlo, cioè quello è il linguaggio mio. È sempre stata mia la volontà di parlare di cose basse con un linguaggio alto, e viceversa di parlare con un linguaggio basso di cose alte. Quindi diciamo che tendenzialmente non è una cosa che forzo, è una cosa che per me genera comicità. Chiaro che io apprezzo tanto gente come Ciacci proprio per questa sua capacità di farmi morire nel parlare di cose estremamente popolari però con un linguaggio ricercato, cose che magari non mi farebbero ridere con un linguaggio basso. C’è questa alternanza… questo essere un po' più vicino a Terenzio che a Plauto. E questa cosa è una roba che mi piace, quindi non saprei fare altrimenti. Poi è chiaro che forse a volte sento l’esigenza di fare delle cose un po’ più mainstream, per le quali possano solidarizzare più persone, e di non parlare solo di cose, tra virgolette, di nicchia, anche se poi non sono completamente di nicchia, penso siano più “de nicchione”, come dice Proietti, una nicchia bella grossa. Però devo parlare del mio vissuto, quindi è inutile che io faccia delle cose mainstream se poi quelle cose non mi appartengono.
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Qual è la reazione del pubblico di fronte ad un materiale non “immediato”? Hai sviluppato una tecnica di scrittura o di delivery per far funzionare tutto meglio?
A parte un paio di contesti rurali affossati in mezzo all’Italia più centrale, la reazione del pubblico davanti a un materiale non immediato non è stata praticamente mai negativa. Anche se le persone inizialmente rimangono perplesse, magari dopo ti danno un attestato di stima; anche persone anziane vengono là, ti dicono: “Vai, sei preparato, mi sei piaciuto, bel testo”. Quindi tutto sommato mi sono tolto anche da quell’esigenza di avere il big round di applausi, la grossa risata per forza; cerco di fare una cosa che sia la mia e basta. Forse sì, c’è pure quella presunzione artistica di dire: per me l’arte deve prefiggersi quell’idea di rischio, di fare una cosa che non possono fare tutti, e questo in ogni campo, nella musica, eccetera. Su questo sono molto duro, nel senso che l’esigenza solo commerciale di dire: “Faccio una cosa perché funziona” per me è la morte dell’arte, ma non perché ho una concezione da Area, da Demetrio Stratos, che l’arte debba essere una cosa che non si deve interfacciare col commerciale. Però se diventa solo commerciale diventa un aspetto algoritmico e ammazza completamente l'idea di rischio. Non è che i Pink Floyd hanno cominciato a fare The Dark Side of the Moon perché sapevano che il sound avrebbe funzionato: si sono fatti dei funghetti, si sono fatti degli oppiacei, si sono messi in sala trenta ore senza sapere cosa avrebbero fatto, ma con l’idea di rischio, ed è diventato uno dei più grandi album della storia. Per me l'arte è pure quello, il fatto di chiedersi fino a un certo punto se quella cosa funziona o meno, di porsi il rischio di dire: “Faccio una cosa mia, è il messaggio che voglio portare, è una cosa forte, è una cosa in cui credo”. Fallo.
Nel caso dei contenuti video, parti da un argomento serio e ci applichi la comicità. E nella stand-up? Parti anche lì da un tema e poi scrivi le battute?
Sì, per quanto riguarda la parte divulgativa parto da un argomento serio, lo studio scientificamente, lo corredo di fonti e poi da là metto dentro le battute o trovo una maschera, che è quasi sempre un personaggio popolare, dialettale o un personaggio che possa far parlare quella cosa con una libertà che un personaggio serio non mi dà.
Nella stand-up è diverso, posso partire da un aneddoto mio nel quale penso che ci siano anche dei contenuti riflessivi sulla società; quando parlo del massaggio cinese, ad esempio, per me è un modo per parlare della legalizzazione della prostituzione; quando parlo dei problemi miei intestinali parto da tutti aneddoti che ho avuto a livello urologico; uso anche aneddoti sessuali, ma che mi servono anche per parlare del fatto di essere stoico perché il mondo è tendenzialmente cinico. Quindi quasi sempre cerco di portare una riflessione sulla società. Poi è chiaro che ci sono anche cose diverse: ho tutto un pezzo sulle bestemmie dal punto di vista della mia infanzia umbra che non contiene nessuna riflessione da quel punto di vista.
Secondo te il tuo lavoro di creatore di contenuti influisce sul modo in cui fai stand-up? E la stand-up influisce sul modo in cui fai contenuti?
Non credo, perché comunque mantengo due approcci diversi. Sono cose che faccio comunicare in quanto in entrambi i casi ci sono io, Filippo, ma il linguaggio con cui costruisco quelle cose sono diverse. Le battute che faccio da creator, se le facessi live, non farebbero ridere alla stessa maniera; probabilmente non farebbero proprio ridere, perché le persone mi vengono a sentire per la stand-up, per il paradosso comico, per l’eventuale one liner, per il monologo fatto bene. Quindi tendenzialmente sarebbe molto difficile. Cioè, quella cosa fa ridere nel monologo divulgativo scientifico, secondo me, perché uno dice: “Cazzo, mi sta dando un sacco di dati e mi sta pure facendo ridere su questa cosa”. Invece nella stand-up il primo obiettivo è fare ridere, se poi riesco a far riflettere, chapeau. Quindi è chiastica come cosa, partono da due presupposti diversi.
Per quanto riguarda la stand-up, al limite, posso dire che, per quanto io non è che faccia più di tanto dark (ho solo qualcosina un po' più tosta), magari qualche battuta più amara ce la metto dentro i video, mi lascio quel tipo di libertà di avere qualcosa satirico che non sia sempre politically correct nei video, perché i creator che vogliono fare i simpatici con la sostenibilità fanno ride ar cazzo. Mi cringia un sacco quel tipo di simpatia da Rai Yoyo. Quindi il fatto che io magari possa dire delle cose un po' più dure dentro i video alla fine viene apprezzato, forse.
Segnalazioni
Consigli su come diventare un comedian professionista, by Caroline Clifford.
Comici ultrafamosi come Joe Rogan, Andrew Schulz e Shane Gillis hanno un legame molto forte con Alex Jones, complottista di estrema destra.
Su Chortle, un punto di vista critico sul Fringe di Edimburgo: ci sono troppi comici che hanno 5 minuti di materiale e fanno un’ora di show.
L’angolo autoreferenziale
Dopo l’assemblea di maggio e la partenza dei tavoli di lavoro, abbiamo deciso di convocare dei nuovi Stati Generali della Stand-up Comedy a Milano, per fare il punto su quanto elaborato sinora e lanciare le attività in vista della stagione 2024/25.
Appuntamento per domenica 29 settembre, dalle 13.00 alle 19.00; luogo ancora da confermare.
Qui il form per iscriversi ed eventualmente proporre punti da mettere all’ordine del giorno.
Dove vedermi live
Un paio di date agostane per il mio one man show Nutro i miei dubbi: mercoledì 21 agosto sarò all’Osteria della Balera a Piacenza (grazie a Andrea Chiappini) e giovedì 29 agosto mi trovate al Daste Bistro di Bergamo.
Domenica 8 settembre parteciperò alla serata di stand-up comedy alla Festa dell’Unità dell’Arci Corvetto di Milano, su invito di Tommaso Adami, con Giacomo Pietrini, Giulia Pacchioli, Antonio Ricatti e Stefano Borghetti.
Il video alla fine
Guardate che cos’erano Joan Rivers, Johnny Carson e il Tonight Show nel 1979.
Happy birthday Tendenza Groucho!