Minima moraliahahah
Iniziamo il 2025 con una puntata un po’ differente rispetto alle solite newsletter. Anziché trattare di un unico tema, questa volta ne affronto diversi, in maniera più breve. Una scelta dovuta al fatto che, pur non avendo numerosi paragrafi da dedicare ad essi, volevo comunque parlarne. E visto che questo è un periodo davvero intenso per me che non mi avrebbe permesso di scrivere lunghe e approfondite analisi, ho colto l’occasione per pubblicare ora queste riflessioni. Se poi vi incuriosisce qualcosa in modo particolare e vorreste che mi dilungassi ulteriormente, basta che me lo scrivete nei commenti o sui social e (senza promettere nulla di certo) in futuro ci proviamo.
Uccidiamo i padri
Ammetto che una delle mie perversioni è compulsare minuziosamente podcast, post e reel di comedian che sospetto già possano farmi incazzare, col preciso scopo di incazzarmi. “Hai visto cosa ha detto X?” “E la battuta omofoba di Y?”. Credo capiti a tutt*, è un modo per sfogarsi, magari anche scaricando frustrazioni dovute a tutt’altro. Niente di nobile, ok. Un genere di contenuti con cui vado sul sicuro quando voglio arrabbiarmi (e quindi godere di questo sentimento) è quello dei padri della stand-up. Comedian che consideriamo (giustamente) precursori e maestri, ai quali siamo debitori. Li chiamo “padri”, ma non per forza sono uomini; esistono anche donne che sono “padri”, anche se ironicamente questa fluidità verrebbe stigmatizzata proprio dai padri della stand-up.
Complice la loro indole messianica, i padri non si esimono mai dall’esprimere le loro opinioni sul mondo, ed in particolare sui giovani: i giovani comedian, le giovani donne, i giovani sui social. Ovviamente con toni che vanno dallo sfottente all’apocalittico. Aldilà della retorica da “Quando c’era Lui(s) C.K. la sborra arrivava in faccia in orario”, ad infastidirmi è la chiusura totale rispetto a tutto ciò che è arrivato dopo di loro, compresa una nuova consapevolezza su linguaggio e inclusività.
Ma se ne scrivo è perché voglio guarire: che senso ha per me andare a cercare apposta materiale che mi fa incazzare? I padri della stand-up non parlano a me, devo farmene una ragione. Prendetelo come un buon proposito dell’anno nuovo che vi invito a condividere: smettiamola di aspettare il loro Verbo, anche solo per contestarlo. Uccidiamoli. E, tra qualche anno, quando qualcuno di noi magari sarà a sua volta diventato padre per nuove generazioni di emergenti (lascio volentieri tale onore ad altr*, per evidente incapacità e perché non posso essere padre, almeno secondo il tribunale), speriamo che anche i giovinastri saranno capaci di ucciderci.
Non sei un vero comico finché non ti senti sottovalutato
Il luogo comune che vuole che la comicità sia un mondo competitivo pieno di squali conosce notevoli sacche di eccezioni: sicuramente ci sono meccanismi spietati e più si sale più cane mangia cane, ma vi sono anche oasi tutt’altro che limitate dove il clima è molto più salubre. Senza parlare dei casi in cui la collaborazione professionale diventa amicizia vera (che pure esistono in abbondanza), molt* comedian vivono l’ambiente in maniera rilassata, o comunque non in tensione verso gli e le altr*.
Detto questo, nessuno riuscirà mai a convincermi che non sia vero che sotto sotto tutt* i e le comic* ritengono di essere sottovalutat*. Magari sono convint* che meriterebbero di più, opportunità maggiori, e si chiedono perché i gestori delle serate non li chiamino. Magari vedono performer avere successo e pensano che siano raccomandat*. Non vuol dire sentirsi i migliori: si può tranquillamente convenire che esistano comedian più brav*, ma ciò non toglie che noi valiamo più di quanto ci è riconosciuto.
A pensarci bene, è naturale: se scrivo e porto sul palco determinate cose, è perché penso siano le più divertenti possibili. Il comico di Schrödinger è allo stesso tempo insicuro (ogni pezzo nuovo è un salto nell’abisso) e confidente: la mia roba fa ridere. E allora quando la realtà arriva per smentire il nostro convincimento dell’assoluta bellezza dei nostri testi (battute che non entrano, disinteresse, gelo, serate nelle quali il/la comic* dopo di te viene acclamata dal pubblico, mentre tu hai raccolto solo applausi striminziti), ecco salire (accanto al giudizio severo, altra contraddizione) la sensazione di essere sottovalutat*. E se ancora non provi questo sentimento, forse è perché non stai (ancora) facendo bene il tuo lavoro.
Nessuno riuscirà a convincermi del contrario, e se mi dite che questa è una proiezione generalizzante di ciò che invece sento solo io, beh: state sminuendo la mia geniale intuizione che meriterebbe invece il Pulitzer.
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No shorts
Questa cosa l’avevo sentita anni fa, credo da Edoardo Confuorto: mai esibirsi coi pantaloncini corti. E una volta che lo inquadri, il problema non può non essere visto: gli shorts sul palco fanno schifo. Tolgono tutta la parvenza di professionalità e credibilità. Per quale motivo? E’ un mistero, degno dei Moai, le gigantesche statue dell’Isola di Pasqua le cui teste spuntano austere dal terreno. E i cui corpi sono nascosti interrati PERCHE’ INDOSSAVANO PANTALONCINI CORTI!
Quindi, niente shorts. Lasciatevelo dire da uno che fino a ieri pensava che l'alta moda fossero le modelle coi tacchi.
Scusate il
Qualche giorno fa discutevo con un amico che contestava una battuta non mia che citava la 104 (la famosa legge per l’assistenza delle persone disabili) usandola come modo per dire che qualcuno è scemo. Lì per lì mi è sembrato un eccesso di zelo, ma riflettendoci ho capito che mi sbagliavo, e avendo anche io fatto joke simili debbo fare ammenda. Usare la disabilità mentale per attaccare (comicamente) una persona, volendo così darle della stupida, rafforza un pregiudizio su questo tipo di condizione. Le parole che scegliamo per insultare gli altri rivelano molto delle nostre convinzioni e delle idee che perpetriamo inconsciamente. Perché mai volendo offendere (sempre comicamente) qualcuno devo accostarlo alla 104?
(Ci sarebbe poi da dire che la battuta è sbagliata perché, tecnicamente, la 104 la prende chi assiste la persona disabile, e non la persona disabile stessa. Ma in questo caso, come sempre d’altronde nella comicità, la brevità vince: e quindi la 104 assume un valore metonimico. Ci tenevo a dirlo, soprattutto per usare metonimico.)
Con tutta l’attenzione che cerco di mettere su questi temi, anche io ho punti ciechi ancora da illuminare.
Insomma: cerchiamo di insultare gli altri in modo migliore.
Se ni' mondo esistesse un po’ d’ingegno
e con quel si sfanculasse ogni fratello
ci sarebbe meno problemi e meno sdegno
e il mondo ne sarebbe assai più bello
Uoc iu du for a livin?
Da qualche tempo è partita la battaglia contro il crowdwork. La guidano comedian affermat* (spesso imitati da accolite di seguaci) muovendo principalmente due accuse: i e le comic* emergenti fanno solo quello, e il crowdwork non è vera comicità, la quale risiederebbe esclusivamente nei monologhi scritti.
Alla prima incriminazione si risponde facilmente: ma dove cazzo vivete? In quale quartiere di quale città di quale nazione gli e le esordienti fanno solo crowdwork? Forse non siete mai stati in uno posto dove invece tutte e tutti provano i propri testi; la prossima volta che ci vado vi invito: il posto si chiama realtà.
Questa percezione distorta, probabilmente, è dettata dal fatto che la grande maggioranza dei reel mostra solo il lavoro col pubblico. Ok. Si può non condividere questa scelta, ma confondere quello che viene postato online con il repertorio totale è un’ingenuità grossolana.
Contesto anche l’idea che il valore comico si situi solo nei monologhi scritti. Certamente chi fa stand-up comedy deve produrre materiale, che resta un elemento fondamentale, ma alla risata del pubblico concorrono numerosi altri fattori, a partire da quelli fisici e passando anche dalla relazione col pubblico. Senza contare che in alcune situazioni non fare crowdwork significa sbagliare l’approccio, e se si è professionist* non capirlo per tempo non ha scusanti.
Se il comico fosse un pittore, il crowdwork sarebbe uno dei diversi colori a sua disposizione. Direste mai a un pittore di non usare il blu? Magari se è Picasso sì, dopo tutto quel periodo in cui ne ha abusato. Ma a tutti gli altri no. Sentitevi liber*.
La legge è non leggere
Ve lo dico col cuore: non portate gli appunti sul palco! A meno che prevediate di usare la lettura in modo divertente (prendendo bigliettini, giocando con un libro, citando qualcosa in maniera “formale”), leggere in scena avrà l’unico effetto di allontanare il pubblico. “Ma Nicola, io non mi ricordo il pezzo!”. E allora non farlo. Nessuno ti ha obbligat* a partecipare a una serata se non hai la memoria. Ma ormai che ci sei, non leggere: improvvisa, cazzeggia, buttati. Nella tua crescita comica, quell’esperienza varrà cento volte più di cinque minuti con davanti i foglietti. Lo so che ci sono volte nelle quali si deve provare il testo, ed è chiaramente un momento importante, ma se non ce lo ricordiamo testarlo con gli occhi fissi sul quaderno non servirà a farci davvero capire se funziona o no.
Ormai in Italia a leggere sono rimasti solo i comici agli open mic.
Segnalazioni
Doug Stanhope è stato in Ucraina, ma non sono sicuro sia la cosa più folle che ha fatto nella sua vita.
Come si prepara il monologo iniziale per i Golden Globes? Il New York Times spiega come lo ha fatto Nikki Glaser (ad esempio: 10 autori e 91 ripetizioni live).
Angelo Amaro, uno dei migliori comedian italiani, ha pubblicato il suo special.
L’angolo autoreferenziale
E’ successo anche che io e Nando Prati abbiamo fatto cover degli 883 per chitarra e kazoo al compleanno di Aurora Camilli. Ringrazio Francesco Bolignari per aver trovato la migliore definizione possibile:
Come si suol dire, siamo disponibili per matrimoni, battesimi, ecc.
Dove vedermi live
Se leggete questa newsletter nel giorno in cui esce (domenica 19 gennaio), siete ancora in tempo per venire stasera al Griller Hop di Monza a vedere Tutto Sotto Controllo, il game comedy show con me, Davide Spadolà, Nando Prati e Aurora Camilli (che per oggi sostituisce Patrizia Emma Scialpi).
La sindrome del Campostori prosegue il suo percorso: giovedì 13 febbraio porterò il mio secondo one man show alla Teeria Passaggi di Tempo a Vigevano, su invito di Massimiliano Sonsogno.
Ci sarà anche l’occasione per un paio di mezz’ore: sabato 25 gennaio al Punto Zero di Sesto San Giovanni e venerdì 31 gennaio al CRC Anima & Musica di Abano Terme (grazie a Alessandro Verdicchio).
Domenica 9 febbraio farò 15 minuti al Maga Furla di Milano nella serata organizzata da Foma Fomic.
I roast a Zelig proseguono sabato 1 febbraio con nuove sfide a suon di insulti.
Il video alla fine
Come si fa a non amare James Acaster?
Grazie per aver volato con Tendenza Groucho.
Bello leggerti Nic
Che nel mainstream il crowdwork possa essere travisato, o visto addirittura come innovativo (quando ovviamente come dici tu non lo è), sono d'accordo. Ma è il solito problema che il mainstream fagocita tutto e lo trasforma in prodotto vendibile, quindi fa gioco ora vendere il crowdwork come novità. Però c'è tutto un filone di critiche (fatte da chi è nel settore e che quindi fovrebbe/potrebbe conoscere meglio la scena) che secondo me sono altrettanto poco centrate. Generalizzano e, spesso, non registrano la complessità del fenomeno appiattendolo a "oggi nessuno scrive, tutti fanno crowdwork", che è semplicemente falso.