Maschile singolare nero
Agli albori della diffusione della stand-up comedy in Italia, tra i primi nomi provenienti dagli USA che hanno cominciato a circolare c’era quello di Chris Rock, considerato uno dei più grandi comici della sua generazione.
Come sempre accade in occasione di un nuovo special firmato da decani del suo calibro, quando Netflix ha annunciato per lo scorzo 4 marzo l’uscita di Selective Outrage, che per giunta sarebbe stato il primo evento trasmesso live dalla piattaforma, l’attesa è cresciuta tra gli amanti del genere fino al fatidico giorno e a quelli successivi, quando lo show è stato reso disponibile a tutti gli utenti anche in differita.
Dopo quelle dedicate a Hannah Gadsby, Jimmy Carr, Louis C.K. ed Iliza, ecco dunque una puntata monografica su Rock, cercando di ripercorrere la sua carriera spettacolo dopo spettacolo.
Partiamo coi ventisette minuti di Big Ass Jokes registrati nel 1994 ad Atlanta per HBO (con delle grafiche che a guardarle oggi sembrano fatte dammiocuggino).
Reduce da Beverly Hills Cop e Saturday Night Live, Chris Rock è accolto già come una grandissima star: il pubblico risponde adorante a qualsiasi cosa dica, anche a un semplice “Ah”. Lui stesso si definisce subito come un “successful black man” e in queste tre parole troviamo molto di ciò che caratterizzerà il comedian lungo tutta la sua carriera, tanto nel bene quanto nel male: se il suo essere nero lo ha portato ad affrontare in maniera convincente le problematiche razziali che hanno contraddistinto gli USA negli ultimi trent’anni (con quello che lui chiama racial humor), il suo riconoscersi appieno nell’American dream lo porterà più di una volta su posizioni contraddittorie; il fatto poi di essere uomo e, soprattutto, di proporre un umorismo basato molto sulla contrapposizione con le donne da una parte gli ha garantito il successo di pezzi memorabili ma dall’altra col passare del tempo rischia sempre di più di comprometterne l’attualità e, in fin dei conti, la forza comica.
In Bring the Pain (1996) Rock ha già perfezionato il suo stile, a partire dalla camminata ininterrotta che lo vede passeggiare da sinistra a destra del palco, andata e ritorno, macinando metri su metri. Inizia parlando di droga, poi con una transizione dolce passa al cibo e a quanto ce ne sia troppo in America, per arrivare all’ipotetica (e da lui ritenuta impossibile) candidatura di Colin Powell alla presidenza degli USA, che dà occasione al comedian per cominciare a discutere i pregiudizi dei bianchi. In un flusso continuo di nuovi spunti, ripete spesso le premesse, reitera gli assunti del ragionamento che sta facendo, ribadisce la stessa frase con insistenza. Forse è l’influenza (pare da Rock stesso riconosciuta) del nonno predicatore, fatto sta che questa ridondanza è palesemente voluta e arriva al punto da mettere a rischio la punchline che segue, depotenziandola. Ma in effetti i suoi monologhi non vivono tanto della battuta in sé (Rock non è un battutista), quanto della capacità di raccontare in maniera divertente il suo punto di vista alla propria comunità, quella delle persone afrodiscendenti americane. Il senso di appartenenza è uno dei tratti tipici di Rock: se nel primo special esso veniva trasmesso nel finale, quando lo si vedeva in un autobus accolto come un eroe da decine di bambini neri, questo secondo show inizia con una sorta di pantheon che mostra in sovrimpressione all’ingresso di Rock sul palco le copertine dei dischi di stand-up comedian che hanno fatto la storia della comicità afrodiscendente (Bill Cosby, Dick Gregory, Geraldine, Richard Pryor, Pigmeat Markham, Eddie Murphy, affiancati a Steve Martin e Woody Allen).
Col suo eloquio super pop quasi non ci si rende conto che a volte Rock esprime posizioni molto nette sulla società, come nel celebre monologo nel quale sostiene che i neri sono più razzisti dei bianchi, perché i neri odiano anche i neri, per poi servirsi della n-word in un modo che probabilmente non era mai stato fatto in precedenza. In un altro momento dello show, sempre col suo fare light, afferma che se c’è tanta gente in prigione è perché le condizioni economiche fuori dalle carceri sono pessime: “Per chi vive in una vecchia casa popolare, una nuova prigione non è poi così male!”; come se niente fosse, subito dopo ci rende edotti di una pratica molto in voga nei penitenziari, la “mescolatura dell’insalata” che se non conoscete potete scoprire con il seguente estratto.
In Never Scared farà qualcosa di simile parlando di aborto, riuscendo a essere allo stesso tempo leggero e pesante: dice cose forti senza aggravare toni e atmosfere, esprime una sua opinione senza politicizzare l’argomento ma declinandolo attraverso i filtri che lo contraddistinguono: il rapporto uomo-donna, le scene quotidiane nelle quali il pubblico si riconosce, lo stupore accigliato per le cose che commenta.
La parte su O.J. Simpson è come al solito molto efficace, ma il passaggio nel quale Rock confessa “Non dico che avrebbe dovuto ucciderla, ma lo capisco!” apre un interessante parallelismo con Bill Burr (noto per i suoi rant contro le donne), reso ancora più forte dal pezzo in cui Rock giudica una “cazzata” la frase “Non ci sono mai motivi per picchiare una donna”, che Burr ricalcherà dodici anni dopo in You people are all the same. Se in quest’ultimo il racconto degli accessi di violenza è sostenuto dall’esplicito riconoscimento di essere problematicamente intriso di mascolinità tossica, nei primi show di Rock la narrazione di episodi simili fa trasparire un sottile compiacimento: è la sua cifra stilistica, ma applicata a questo specifico argomento risulta molto problematica e mette in ombra l’incredibile forza comica del pezzo.
Bigger and Blacker conferma l’andamento randomico degli special di Rock: inizia con un pezzo sulle armi (siamo nel 1999, a pochi mesi dalla dalla strage alla Columbine), ottimamente messo in scena, nel quale il comico sostiene che non serve nessun controllo delle armi, serve il controllo dei proiettili, che dovrebbero costare cinquemila dollari l’uno, così la gente ci penserebbe prima di uccidere. Da lì in poi cambia rapidamente tema, a volte anche contraddicendosi se la comicità lo porta a farlo: in pochi minuti dice che i ragazzi che han sparato alla Columbine sono pazzi, poi afferma che il problema è come sono stati educati dai genitori per arrivare a parlare delle madri single. La parte centrale è una bomba, Rock ha un’energia incredibile, riversata in una serie di joke irresistibili. Per tutto lo show si dimostrerà molto abile ad introdurre nuovi argomenti, anche solo per pochi minuti, il tempo di un paio di battute ed eccolo pronto ad affrontare altre questioni, senza un vero e proprio collegamento con quanto detto prima. A far da collante, piuttosto, è il suo atteggiamento, incredulo e irritato per la follia che lo circonda. Il personaggio è quello di un comico stanco delle bullshit propinategli dal mondo. Il problema di Rock non è Rock (e infatti le battute di self-deprecation saranno poche nel corso della sua carriera). Il problema di Rock è il mondo esterno, contro il quale lui urla le sue verità arrabbiate. Concentriamoci su queste due parole. La rabbia (l’emozione che trasmette in maniera costante) non è quella scomposta di Kinison ma una versione modellata in una performance quadratissima: Rock è sempre molto controllato, e solo alla fine degli show, mentre fissa in maniera spiritata la platea, si scioglie lentamente la tensione che ha sostenuto la sua esibizione.
Per quanto riguarda il concetto di verità, quelle che il comedian esprime non sono quelle scomode, ma quelle che fanno incazzare tutti. L’elogio del padre in quanto figura discriminata, ad esempio, non è un ribaltamento delle convinzioni mainstream, ma è l’esasperazione di qualcosa che moltissimi (donne comprese) all’epoca (e forse anche oggi) sentivano come vero, perché inciso nella cultura del tempo. Non a caso, Rock riceve tante risate ma anche tanti applausi di consenso. Visto oggi, questo meccanismo funziona ancora bene quando è applicato alla condizione degli afrodiscendenti, ma risulta fuori fuoco quando riguarda lo status dei maschi e la loro relazione con le donne. Probabilmente è questo il più grande punto debole della comicità di Rock: sottintende un rapporto tra i sessi estremamente stereotipato e figlio di una concezione patriarcale. In Bring the Pain, la battuta più rivelatoria in tal senso è questa: “Se il bambino non sa leggere, è colpa della mamma. Se non sa leggere perché a casa non c’è la luce, è colpa del padre”. Ora, possiamo anche ammettere che Rock stava descrivendo una situazione (marito lavoratore e moglie a badare ai figli) che nel 1999 era più frequente di oggi, ma certamente l’assenza di qualsiasi consapevolezza critica su questo modello relazionale non aiuta a farci digerire la sua tirata. “A nessuno frega niente dei papà”, poi, oggi risulta proprio il lamento del maschio bianco etero cis, il vittimismo insopportabile fatto da chi è in posizione di privilegio. Certo, col senno di poi è facile commentare e probabilmente l’interpretazione che ne ricaviamo è almeno in parte distorta: ma è proprio difficile non trovare un filo rosso tra le parole di Rock che danno la colpa a Hillary Clinton per il tradimento del marito e l’odio che l’era trumpiana ha riversato su quella donna. Se è sbagliato insinuare una contiguità, è innegabile che nel monologo di Rock (e soprattutto negli applausi a scena aperta che riceve) ci sia anche un qualcosa che bollirà fino ad esplodere nei giorni più prossimi a noi.
Fun fact: una cosa simile succederà anche con una battuta di Kill the Messenger (2008) quella su McCain eroe di guerra che è stato catturato, ripetuta praticamente identica anni dopo da Trump, sfidante di McCain per le primarie repubblicane.
Tutto quello special, a onor del vero, non brilla particolarmente, eccezzion fatta per la risposta alla domanda “I bianchi possono usare la n-word?” e per qualche fuoco d’artificio nel finale.
L’impressione è che venticinque anni fa Rock avesse già una consapevolezza matura riguardo alla condizione dei neri e alle discriminazioni che subiscono; a dimostrarlo, basterebbero due pezzi da Never Scared (2004), quello sulla differenza tra ricchezza (accessibile anche ai neri) e benessere (esclusiva dei bianchi) e quello sull’Affirmative action, ma praticamente in ogni special potremmo trovare analisi ed esposizioni ben centrate (e comiche) sulle disuguaglianze razziali che fanno di Rock una voce importante per gli afrodiscendenti d’America.
A questa consapevolezza però non ne corrisponde una altrettanto solida circa altre storture della società, come quelle che danneggiano le donne, tranne in troppo rare eccezioni: quando descrive i motivi per cui le relazioni si spengono, o nel bit sulle “donne nere grasse” che non ha perso la sua freschezza. Purtroppo, come vedremo, mentre il tempo lo fa crescere come comico, non sembra migliorare le cose da questo punto di vista.
Never Scared è un’ora e mezza fortissima, con Rock che non sbaglia un colpo. Pur rimanendo un commentatore caustico che guarda con un po’ di superiorità la società, dà più eleganza alla sua rabbia. Che parli di spogliarelliste, di rap (uno dei pezzi migliori dello special), di Michael Jackson, degli aiuti umanitari ai paesi poveri, di aborto o della guerra in Iraq (proponendo riflessioni su patriottismo, odio e “veri americani” che ancora oggi battono buona parte del repertorio sul tema di comici successivi) trova sempre l’immagine più divertente e il modo di connettersi al pubblico. E questo è un altro grande suo merito: nonostante il successo, sembra esser riuscito a mantenere un legame con la vita di tutti i giorni, e ciò gli permette di parlare di cose che la gente conosce, di fare esempi che il pubblico coglie, di rappresentare sempre per la platea un primus inter pares. L’aderenza al sogno americano, tra l’altro, non è un ostacolo a questa dinamica, anzi: nonostante in teatro Rock sia probabilmente l’unico super ricco presente (e talvolta esprima posizioni che starebbero benissimo in bocca ad invasati neocon bianchi e milionari), i suoi spettatori non lo sentono distante perché anche loro riconoscono la sua come una storia di successo. Quando lancia la sua invettiva con gli afrodiscendenti che definisce con la n-word, distinguendoli dai neri “per bene”, non viene percepito come un arricchito che si smarca dalla teppa dalla quale proviene per meglio integrarsi nella società dell’uomo bianco, ma come il self made man che tutti agognano di diventare, colui che ce l’ha fatta attraverso il duro lavoro, col valore aggiunto di essere un nero che ce l’ha fatta in una nazione ancora razzista.
Gli ultimi suoi due special sembrano quasi scritti da due persone diverse. Uscito nel 2018 e poi in versione extended cut nel 2021, Tamborine è lo spettacolo della maturità di Rock, che si presenta come un cinquantatreenne dall’aspetto molto giovanile e completamente rilassato sul palco. Anche la sua camminata si è fatta meno nervosa, e forse proprio questa nuova tranquillità acquisita permette al comedian di inserire nello show parti più intime: dopo essersi dipinto come una brutta persona, parla del suo divorzio e dell’umiliazione che ha provato in tribunale per la custodia delle figlie; pur non diventando un comico dei sentimenti, si apre a livello personale come non era mai successo prima. Tamborine è un susseguirsi di monologhi ottimamente riusciti: da quello sulla religione a quello sul Mississippi e sulle vacanze ai Caraibi, passando per l’auspicio che l’uguaglianza in America arrivi con la polizia che uccide lo stesso numero di bianchi e neri, un concetto in apparenza aspro portato col sorriso sulle labbra e senza quella rabbia sociale che avrebbe potuto caratterizzare uno dei pezzi potenzialmente più esplosivi della sua carriera. E che dire del bit che dà il titolo allo special? Questa volta Rock parla delle relazioni col solito piglio cinico ma senza più impostare la comicità sulle differenze tra uomo e donna, e anche quando si avvicina a quel mood riesce a dargli più profondità, tranne nel finale che potrebbe benissimo appartenere agli show precedenti e che preannuncia il passo indietro di quello che ad oggi è l’ultimo suo spettacolo presente su Netflix.
Selective Outrage (2023) non solo acuisce le questioni tipicamente problematiche in Rock, come l’adesione all’American dream e una visione del rapporto uomo-donna davvero datato (per dirne una: per lui, ancora oggi, è l’uomo che porta a casa i soldi), ma presenta molte delle pecche che hanno gli special più recenti di diverse star della comicità. “Cercherò di fare uno spettacolo stasera senza offendere nessuno” esordisce Rock che pur senza arrivare alle esagerazioni sconclusionate di Chappelle, cavalca la vulgata del “non si può più dire niente”, parlando esplicitamente di woke trap ma non approfondendo mai davvero.
Il suo rimanere sulla superfice, che nei momenti migliori significa capacità di affrontare ogni tema in maniera affabile, qui risulta solo un approccio banale agli argomenti trattati. La critica principale ai woke, ad esempio, è che twittano da un cellulare fatto da bambini schiavi, non particolarmente inedita o pregna come analisi. Quando poi Rock sostiene che oggi la principale dipendenza in America sia quella da attenzione che ci fa bramare i like e mostrare il culo su Instagram, il tutto non suona molto originale. E credo che “Non c’è niente di più potente della bellezza femminile” non meriti nemmeno un commento.
Capisco il fastidio per l’ipocrisia delle multinazionali e posso anche condividere l’ironia sugli eccessi del politicamente corretto, ma che questo sia diventato IL tema del quale tutti i comedian (tutti i comedian ricchi e famosi) sentano la necessità di parlare mi sembra sia indicativo di una certa pigrizia intellettuale. Non a caso, anche Rock parlerà delle persone trans, nuovo target sul quale pare obbligatorio esprimersi; come molti altri, anche lui afferma di rispettare e accettare le persone trans, prima di infilare una battuta sulle donne trans che a differenza delle donne cis capiscono lo sport, che non è una battuta offensiva, ma semplicemente una battuta vecchia.
E’ ovvio che un comedian del suo calibro senta la necessità di ragionare sulle materie al centro del dibattito pubblico, ma mi fa specie che moltissimi big esprimano praticamente le stesse idee, tutte poco approfondite, senza accorgersi tra l’altro delle contraddizioni che si portano dietro: la sparata di Rock sui woke viene trasmessa da Netflix, baluardo del politicamente corretto al punto da sentirsi in dovere di mostrare una ragazza asiatica che ride quando Rock fa una battuta su una giapponese; dopo l’accusa alle aziende di odiare i poveri, il comedian sostiene che accetterebbe più facilmente un’eventuale transizione del padre rispetto a suo fratello perché quest’ultimo guida i camion, a dimostrazione che il classismo che giustamente Rock attacca è più pervasivo di quanto lui stesso creda.
Detto questo, Rock come al solito è molto bravo a trovare l’immagine giusta per spiegare i suoi concetti, il che lo fa funzionare sia quando elabora asserzioni poco innovative (la dicotomia tra diritti civili e disuguaglianza sociale) sia quando sviluppa pezzi più forti come quello sull’aborto. Nonostante la fama, anche in questo special mantiene intatta la capacità di connettersi al suo pubblico, riferendosi a situazioni che gli spettatori colgono al volo. Conferma il suo stile fatto di ripetizioni e assertivo. Come ho già avuto modo di dire, il finale su Will Smith è la parte più convincente, che lascia sperare che Rock sappia trovare una nuova e più interessante strada per esprimere il suo talento.
Tirando le somme. Riguardando gli special di Rock col filtro culturale che inevitabilmente applichiamo alle nostre visioni, spesso sull’innegabile presenza scenica straordinaria del comedian prevale la sensazione di assistere a qualcosa che è invecchiato. Ci sono spunti che hanno retto di più l’urto del tempo (“Non c’è niente di più spaventoso dei poveri bianchi” potrebbe essere un commento perfetto all’America trumpista, e non solo), ma per lunghi tratti gli stereotipi proposti sono davvero insopportabili, tanto più che vengono riproposti anche negli show più vicini a noi. Ovviamente, se alcuni spunti li sentiamo datati è perché lo sono, letteralmente: dai primi spettacoli di Rock sono passati trent’anni. Chissà tra tre decenni che effetto ci farà rivedere i monologhi del 2023. Inoltre, è molto probabile che le cose che ora diamo per acquisite (fino al punto di volerle superare) sono tali (anche) perché sono state cristallizzate nell’immaginario collettivo e nella cultura popolare da comici del passato e dai vecchi show. Penso alle molte routine sul sesso e sulle differenze in questo campo tra uomo e donna: viste oggi suonano scontate perché verranno poi riprese negli anni a venire, ma quasi mai con la perfezione distillata da Rock. Certo, sentire uno dei comici unanimemente considerati al top parlare di mogli arrabbiate che non cucinano la cena al marito potrebbe farci sospettare che il confine che in Italia abbiamo messo tra cabaret e stand-up è meno granitico di quello che pensavamo.
Aldilà delle considerazioni specifiche su Rock, da comico mi chiedo: quando avrò cinquant’anni, quando ne avrò sessanta, come farò ad evitare il rischio di essere percepito come un vecchio? E soprattutto, come farò a mantenermi giovane? Quali antidoti potrò usare contro la fossilizzazione del mio pensiero per provare a rimanere connesso ciò che mi circonda? Se molti dei più grandi comedian internazionali non hanno la risposta, figuriamoci io. Ma forse, un punto adesso ce l’ho più chiaro: ogni persona, comici compresi, vive nel suo tempo ed è estremamente difficile elevarsi al di sopra dello zeitgest nostro contemporaneo per esprimere valutazioni davvero controcorrente. Proprio per questo, gli spazi di libertà espressiva vanno tutelati, anche a rischio di trovarci punti di vista estremi e addirittura “sbagliati”, perché comunque è solo lì che si coltiva la vera possibilità di alternativa al presente.
Segnalazioni
Il 29 marzo 2003 moriva Enzo Jannacci: ecco un ritratto di Ranucci Sodi per Il Post.
Louder ricorda lo sketch del comedy show It’s Kevin che riprendeva la storica apparizione dei Sex Pistols al Today Show rimettendola in scena esattamente come era avvenuta ma con tutti i protagonisti… vestiti da Amish.
Vincenzo Comunale ha pubblicato suo Youtube il suo spettacolo Un’altra cosa.
L’angolo autoreferenziale
Stasera vado agli Arcimboldi a vedere Jim Jefferies, nella sua prima apparizione italiana. Magari ne verrà fuori materiale per Tendenza Groucho. A sostituirmi al Wipe Out per la consueta serata di stand-up comedy ci penserà Jonathan Lionetti, che presenterà lo show di Davide Spadolà (in apertura Giada Parisi).
Dove vedermi live
Domani, giovedì 20 aprile, torno al Pit Stop di Vedano al Lambro nella serata organizzata da Bruce Ketta. Venerdì 28 aprile sarò al Circolo Belleri di Piacenza per Working Class Comedy, una serata di comicità dedicata al lavoro. Sabato 29 ospito alla Birreria Majnoni di Erba lo show di Giordano Folla, con l’apertura di Carlo Vitulo.
Domenica 30 faccio da MC alla terza serata al Griller Hop di Monza, in apertura Michela Altieri e one man show di Daniele Raco. La quarta si svolgerà domenica 14 maggio, con Clara Campi e Marco Champier.
E a proposito di maggio, è presto detto: martedì 2 partecipo all’open mic dell’Osteria Democratica di Milano (gestita da Tommaso Adami); il 3 e il 17 presento la Wipe Out Comedy a Paderno Dugnano, giovedì 4 sono al Laughing Around! al Galileo Polpette (a Milano) e il 5 mi vesto da resident per lo show al Circolo San Luis (sempre a Milano).
Quella che probabilmente sarà la data conclusiva di questa stagione in Birreria Majnoni avverrà sabato 13 maggio e vedrà protagonisti Luca Anselmi e Matteo Zaffarano, con intermezzo di Nando Prati.
Martedì 16 farò venti minuti a Il Meneghino (indovinate dove), thanks to Marco Los.
Il video alla fine
La vita è preziosa? Daniel Sloss ha la risposta:
Ma non temete: nessuno di voi che legge Tendenza Groucho finirà mai sulla mia lista nera ♡