Tante risate, siamo inglesi
L’idea di intervistare Alex Martini, comico italiano che vive a Londra, mi era venuta molto prima di sapere che la finale del Campionato europeo di calcio avrebbe visto fronteggiare la nostra nazionale e l’Inghilterra, ma devo dire che non mi dispiace la coincidenza temporale che fa sì che questa puntata della newsletter esca a poca distanza da quella gara e dalla conseguente vittoria tricolore, come appendice di un confronto tra i due paesi, stavolta non agonistico e in un campo differente da quello del pallone, seppure non meno cruento.
Il rapporto tra comedian del Belpaese e la perfida Albione è d’altronde consolidato, basti citare alcuni casi esemplari quali Luca Cupani, recentemente apparso nella serie Italian Stand Up di Prime Video, Francesco De Carlo (che sulle sue vicende inglesi ci ha fatto pure un programma per la Rai, Tutta colpa della Brexit), e il collettivo Be Comedy capitanato da Marco Di Pinto che organizza spettacoli da entrambi i lati della Manica e offre pezzi comici nella lingua di Shakespeare sottotitolati in quella di Dante.
Alex Martini l’ho conosciuto perché abbiamo partecipato alla stessa serata online realizzata da Puma Comedy durante il lockdown. Mi era sembrato un vulcano in eruzione, e questa intervista lo conferma. Con lui ho provato a sfruttare la dicotomia Italia-Inghilterra per far emergere alcuni temi che mi interessava approfondire grazie ad un punto di vista ibrido, quello di un connazionale che da anni vive nel Regno Unito. Sono venute fuori diverse considerazioni su alcuni luoghi comuni riguardanti la comicità anglosassone, sul ruolo dell’MC, sulla necessità (o meno) di suscitare la risata, oltre che riflessioni (e critiche) sulla cultura dei club, sull’atteggiamento del pubblico, sul politicamente corretto. Ne ho anche approfittato per riattizzare la polemica cabaret vs stand-up, che è sempre un piacere.
Alex, qual è la tua storia? Come mai fai il comico? E come mai sei in Inghilterra?
Tre domande insieme! Oddio, mi cago subito addosso! La mia storia è lunga e tempestosa (ma anche no). Faccio il comico perché lo sognavo da bambino e perché ho avuto la possibilità di iniziare per gioco. Come mai sono in Inghilterra? Sono un conoscitore di cibo blando, tempo di merda e burocrazia snella.
I tuoi pezzi li pensi e li scrivi in inglese? Quanto ti ci è voluto per padroneggiare la lingua al punto da poterla usare comicamente?
Penso in inglese quando vivo in Inghilterra e i pezzi li scrivo (o meglio NON scrivo, spiegherò meglio poi) in inglese. Vivo in UK dal 2008 e la prima serata l’ho fatta nel 2012. Per esibirti hai ovviamente bisogno di padroneggiare la lingua, ma più che altro devi capire il senso dell’umorismo di un'altra nazione. Molto più importante, secondo me!
E quali sono le principali differenze tra la comicità italiana e quella inglese?
Questa domanda varrebbe da sola una serie di newsletters a parte! A livello di contenuti, in Italia siamo indietro di circa 30-35 anni. Battute che sento fare da comici italiani, soprattutto su argomenti sessuali, qua si facevano negli Anni ‘80. Parlare di masturbazione è addirittura ritenuto noioso. In Italia dobbiamo scardinare ancora tanti tabù quindi è giusto fare le battute "zozze". Però se le fai non le fare uscire dai confini nazionali, perché sennò ci fai figuracce. La cosa che non mi piace dell’Italia è che purtroppo la stand-up è molto "scripted", nel senso che si sente che i pezzi sono stati scritti per un linguaggio non orale e suonano troppo "imparati a memoria". Questo viene dalla differenza di evoluzione storica della comicità nei due differenti paesi; in Italia, "dall'alto verso il basso" (top-down): persone che sono già attori che si cimentano a fare roba più leggera. In UK, "dal basso verso l'alto" (bottom-up): persone che vengono da altri contesti non performativi che non si sanno esibire subito, ma che imparano a "stare sul palco" serata dopo serata. Non ti faccio tutto il pippone, perché ho in mente di farmi un dottorato su ‘ste robe in un prossimo futuro...
In Inghilterra si riesce a vivere di comicità?
Sì, ovviamente. Però i soldi sono molto polarizzati. Tantissimi se esplodi, ma molto pochi (molto sotto l’operaio medio italiano) agli inizi. Devi per forza cominciare a fare serate quando hai ancora un altro lavoro (o un paio d’anni di risparmi). Le modalità di pagamento sono un po’ complicate e variano tra i comedy club.
Facciamo un salto a prima della pandemia. Vista dall’Italia, l’Inghilterra è la patria dei locali dove fare stand-up. Questa percezione corrisponde al vero?
Sì, senza ombra di dubbio. C’è un circuito strutturato circa dalla metà degli Anni ‘80.
In Italia purtroppo si fanno troppi spettacoli nei teatri e troppi pochi nei pub.
Al di là degli evidenti vantaggi di avere un circuito così diffuso, pensi che ci siano difetti nel sistema della comicità inglese? Quali sono i punti deboli?
Anche questa domanda è molto impegnativa (intervistatore bastardo!). Per farti capire i punti deboli ti devo anche elencare i vantaggi. Primo su tutti: STAGE TIME. In Inghilterra c’è uno spettacolo di stand-up tutte le sere a un passo da te. Io ho fatto circa 1.700-1.800 serate nei miei 8 anni Avanti Peste. E ti dirò di più: sono stato pure pigro. Ho tanti amici che si sono esibiti più di 2.000 volte nello stesso arco di tempo. Svantaggio maggiore: TROPPA CONCORRENZA! C’è stato un boom a fine Anni Duemila durante il quale la stand-up era considerata al pari del rock’n’roll, con tanti (troppi!) comici nuovi. Tante nuove serate da fare, ma con meno pubblico, quindi specialmente i primi tempi ti esibisci solo davanti a colleghi e le paghe sono iniziate a scemare. Però questo "svantaggio" è molto fico, perché con più competizione ti impegni di più per riuscire a farti vedere e diventi un comico migliore. Ovviamente lo svantaggio più evidente sono le paghe bassissime agli inizi e a tanti organizzatori devi regalare tante esibizioni a gratis prima che ti paghino. Purtroppo non c’è spazio per il sindacalismo quando la competizione è così alta. Se io dico di no ad una serata a £50, ci sarà sempre uno stronzetto che ha iniziato l’altro ieri per cui quelle 50 sterle sono oro colato... Ma i vantaggi, caro Nicola, offuscano tutti gli svantaggi.
Immagino che il coronavirus abbia colpito duro come qui in italia. Quali conseguenze ha portato al panorama comico inglese?
Guarda, no comment! A marzo 2020, il giorno che è iniziato il lockdown ho perso circa £5.000 di serate già programmate in un batter d’occhio. Ringraziando il cielo ho una patente e ho fatto qualche lavoretto di delivery qua e là per sbarcare il lunario. E io mi considero molto pessimista, quindi ancora non me la sento ad andare di nuovo nei posti chiusissimi a urlare in faccia alla gente. La vedo molto buia...
Un’altra cosa che si dice spesso della comicità anglosassone è che sia molto più attenta alle questioni come razzismo, inclusione, rispetto delle istanze delle minoranze e linguaggio sul palco. È così? E come la vivi tu, da italiano?
In Italia su queste cose siamo anni luce indietro. Con persone che dicono: "Eh, ma in italiano, 'nero' e 'negro' sono sinonimi". Che io porca puttana se lo sento dire mi esce il Mao Tse Tung che c’è dentro di me che vi faccio rimpiangere Hitler! E mi zittisco e mi autocensuro che veramente è meglio. Ci vuole RISPETTO, specialmente per le minoranze. La libertà di espressione tua finisce dove inizia la mia. Non è un concetto assoluto. E non pensare che sono uno di quelli che è super "woke" (non ho neanche idea di come tradurtelo... Qualcosa tipo SVEGLIATO) Però neanche di quelli che si tirano gli occhi per far capire "cinese". Capisci? Ci deve essere una via di mezzo tra "Gerry Scotti occhi a cinese" e "Mhhh, Friends lo devono subito bruciare perchè è transfobico".
Mi hai raccontato che tu a volte ti diverti a inserire nei monologhi battute "destrorse" per problematizzare il contesto dove ti esibisci (nel quale i comici sono per la maggior parte di sinistra) e per evitare di compiacersi della propria superiorità morale; ma poi, sempre sul palco, analizzi quanto hai appena detto rivelando al pubblico i motivi per cui non avrebbe dovuto ridere. Mi sembra molto affascinante, puoi spiegarmi meglio?
Sono uno stronzetto che si diverte a fare incazzare le persone. Io sono antifascista e di sinistra, ma stai tranquillo che se faccio una serata con un pubblico di fighetti borghesotti (che vanno in giro a fare opere di beneficenza e a sventolare bandiere della pace perchè poi si sentono bene), sul palco vedi che mi escono battute fasciste. Perchè che palle quando siamo tutti d’accordo! Poi, ovviamente, se gli spettatori ridono alla battuta fascista, li prendo in contropiede togliendomi la maschera e facendo capire loro che dovevano ridere di ME che dicevo stronzate, non della battuta "sbagliata". Il comico deve essere sempre pronto ad essere tutto e il contrario di tutto. E se mi "cancellate" dai vostri palinsesti perché pensi che sono "sbagliato" io a fare battute "non corrette", beh, allora non hai capito un cazzo e mi ritiro a fare una vita da eremita. Più cresco e più divento intollerante!
In passato mi hai detto che tu fai soprattutto l’MC. Un ruolo che il grande pubblico in Italia non conosce ancora bene o non ha inquadrato del tutto. In cosa consiste? E perché dici che in Italia la gestione delle serate è "all’americana"?
Qui non basta un’altra newsletter, qui serve un LIBRO! MC = Master of Ceremonies, maestro di cerimonie. Quello che praticamente tira avanti tutta la serata. In Italia si usa la parola presentatore, ma è tanto riduttivo! L’MC, specialmente in UK, fa molte poche battute "scritte" ma improvvisa con il pubblico e cerca di creare situazioni divertenti dalla conversazione. Ci vogliono capacità improvvisative e prontezza di riflessi. Se in una serata l’MC è bravo, nessuno se ne dovrebbe accorgere. Mentre se fa cagare, ha praticamente rovinato la serata da solo. Tra le mie 1.800 serate, circa 1.000 sono come presentatore. È un ruolo molto difficile perché richiede livelli di concentrazione prolungata. Quando fai il comico, fai 5-10-20 minuti e poi, sticazzi, stacchi il cervello e ti godi la vita. Quando fai il presentatore, devi essere concentrato tutta la sera (con serate che variano tra i 90 e i 150 minuti). E la maggior parte delle volte la gloria è molto poca. È un ruolo "altruista", se fatto bene. Se sei narcisista e fai il figo solo te, sicuramente non fai il buon presentatore, perché attriri l’attenzione su di te invece che su quanto è divertente la serata. Per quanto riguarda le serate "all’americana" in Italia… Bisogna parlare della struttura delle serate inglesi. Ti faccio un breve esempio coi minutaggi:
UK
20:00 - Inizia il presentatore come riscaldamento, spiega le regole e come si svolge la serata (5-15 minuti, in media 10)
20:15 - Act di apertura (15-20 minuti)
20:35 - Il presentatore torna in scena per annunciare l’intervallo perché i locali fanno i soldi vendendo i drink! Il break dura tra i 10 e i 25 minuti a seconda della grandezza del locale
20:55 - L’MC torna in scena a ri-riscaldare il pubblico, ma meno (5 minuti)
21:00 - Act di mezzo (O uno da 20, o due da 15. Raramente 3 da dieci)
Alla fine di ogni act l’MC torna in scena e sta 1-2 minuti per "resettare" il pubblico
21.40 Secondo intervallo
22:00 L’MC torna in scena, fa pochissimo (1-2 minuti) perché introduce il momento clou...
L’headliner (act di chiusura) che solitamente è la persona più famosa e meglio pagata che non fa mai meno di 20 minuti, arrivando anche fino a 40-45
L’MC ritorna a salutare tutti e a dare la buonanotte
Siamo tra le 22:30 e le 23:00
In America, siccome si fanno milioni di chilometri da uno stato all’altro, di solito si viaggia in 2. Il primo che fa Presentatore-WarmUp-Apertura (20-30 minuti) e l’headliner che fa dai 45 ai 90. In Italia (se non sbaglio... Ti prego correggimi!) non essendoci la cultura del club, quando si fanno serate di materiale nuovo o con comici nuovi si fa all’inglese, mentre le serate di tour si fanno all’americana, giusto? Mi sto sbagliando? Per favore "se mi sbaglio mi corigerete!" (cit.)
Diciamo che la struttura delle serate in Italia si sta consolidando su alcuni schemi ricorrenti, ma che convivono ancora le modalità più disparate, magari una volta ci dedico una puntata di Tendenza Groucho. Tornando a te, credi che l’esperienza come MC ti è utile come comico? Perché?
Inestimabile. Ti spiego subito perchè. Dal 2014 ho iniziato a gestire serate a Londra simili agli open-mic, ma a mio avviso meglio dei classici open-mic all’americana. Facevo esibire tra le 10 e le 20 persone che facevano minutaggi svariati (ma la maggior parte 5 minuti). Ritornavo sul palco parlando tra i 30 secondi e i 3 minuti dopo ogni act. Capisci bene che quando fai serate del genere stai sul palco tra i 35 e i 50 minuti. Che è come dire che condensi 7-10 seratine corte in una seratona. E io ho fatto 4 seratone così a settimana per 4 anni. Come saprai (spero che tu lo sappia, è una regola universale) più ci si esibisce e meglio si diventa. Avendo accumulato ‘sto bagaglio di minuti sul groppone io mi posso definire relativamente "al sicuro". Dopo essere stato fermo 6 mesi, sono stato sul palco di nuovo a presentare una serata e nel giro di 2 minuti, tutto è tornato naturale come se il lockdown non fosse esistito, cosa che a tutti i miei colleghi ha creato molti problemi di... diciamo "ruggine". La maggior parte degli organizzatori di serate di livello basso e medio (e qualcuno di quelli di livello alto) sa che se i nomi famosi della televisione non sono disponibili, possono chiamare uno al mio livello che garantisce professionalità a prezzi relativamente bassi.
L’ultima domanda, per chiudere in bellezza. Qui in Italia il dibattito-polemica tra cabaret e stand-up periodicamente torna a scaldare gli animi. Mi sembra che nel mondo anglosassone questa suddivisione sia molto più sfumata, ho ragione? Come la vedi e quali pensi siano i motivi di questa diversità?
E questa è un’altra newsletter pure! Il "cabaret stile Zelig" in Inghilterra non esiste.
Esiste il Cabaret nella versione più pura (francese?) fatto di canzoni, attori, personaggi, mimi, burlesque, stripping, drag queen, ventriloqui e chi più ne ha più ne metta. Sono serate molto belle perché ti senti molto Moulin Rouge, ma non fa per me. Molto "borghese", mentre io sono molto "operaio". In Italia quello che voi chiamate stand-up è molto differente da quello che noi chiamiamo stand-up. Lo stile dei comici è molto più rilassato (pigro?). Si vedono robe in giro dove senti 1-2 risate al minuto, mentre in UK sotto le 3-4 al minuto non vieni neanche considerato di striscio dalle serate professionali. Sento usare una scusa tipo: "Eh, ma io sai, più che battute faccio storytelling"… MA CHE STAI A DI’? Pure se fai storytelling e battute complicate, la possibilità di infilare almeno 2-3 risatine minori prima della punchline finale c’è! Ci deve essere! Devi tenere il pubblico sempre con la bocca pronta a ridere. Tra gli italiani lo vedo fare MOLTO POCO. Il setup italiano è molto più "aulico", teatrale, soprattutto per quanto riguarda il pubblico che ride poco e applaude molto. Mi permetti di infamare il pubblico italiano? MA CHE CAZZO STATE AD APPLAUDIRE? Ridete di più e applaudite di meno, porcoddue! Dobbiamo iniziare a fare più serate in bar e ristoranti e meno nei teatri. Lasciamo i teatri agli attori!
L’angolo autoreferenziale
Se, inspiegabilmente, vi siete persi l’intervista che mi ha fatto Radio Busto Live, la potete recuperare qui.
Dove vedermi live
Temo che fino a settembre su questo fronte non ci saranno novità causa estenuanti altri impegni.
Segnalazioni
Iliza Shlesinger, comedian da qualche tempo in forte (e secondo me meritatissima) ascesa, ci accompagna in alcuni luoghi di Los Angeles a lei cari raccontando i suoi primi passi e ricordandoci che "A career in stand-up comedy does not just happen overnight".
Su Il Libraio la scrittrice Alice Basso rievoca la prima volta che le è stato chiesto di scrivere comico.
Rebecca Kaplan elenca le otto cose che ha fatto durante la pandemia per mantenere viva la sua comicità, e spiega cosa ha imparato da tutto ciò.
Il video alla fine
Un po’ lungo oggi, ma ne vale la pena. Nel 2018 Rory Scovel fa 6 serate di fila improvvisando tutto dall’inizio alla fine recentemente si è cimentato in un’impresa simile anche Luca Ravenna). Pochi giorni fa sul suo canale Youtube ha pubblicato questo documentario che ripercorre quell’esperienza e racconta anche la storia (assurda) del locale dove si è esibito, il Relapse Theatre di Atlanta.
L’improvvisazione mi affascina perché da una parte rifiuta il testo scritto, che invece io considero essenziale, e dall’altra esalta il qui e ora che, come già sapete se avete letto le altre puntate di questa newsletter, cerco di perseguire nelle mie esibizioni.
Mi ritrovate qui il 19 agosto, quando Tendenza Groucho compirà un anno. : )